sabato 2 agosto 2025

L'UE non ne ha azzeccata una. Articolo di Luca Bagatin

 

L'UE, in questi decenni, ma soprattutto anni, non ne ha azzeccata una.

Anziché gettare acqua sul fuoco, ha preferito sostenere e armare una autocrazia (che ha messo al bando l'opposizione di sinistra), né appartenente all'UE, né alla NATO. Seguendo peraltro i desiderata della famiglia Biden.

Del resto, le cose sarebbero forse andate diversamente se si fosse ascoltato ciò che Silvio Berlusconi, forse l'ultimo e unico vero leader della Seconda Repubblica (il cui unico vero errore fu di sdoganare missini e leghisti), diceva e scriveva già il 9 maggio 2015, in una lettera, sul Corriere della Sera, riportata anche sul suo profilo Facebook:

Caro direttore, l’assenza dei leader occidentali alle celebrazioni a Mosca per il settantesimo anniversario della Seconda guerra mondiale è la dimostrazione di una miopia dell’Occidente che lascia amareggiato chi, come me, da presidente del Consiglio ha operato incessantemente per riportare la Russia, dopo decenni di Guerra fredda, a far parte dell’Occidente”.

E proseguiva, fra le altre cose, scrivendo: “È vero, con la Russia ci sono delle serie questioni aperte. Per esempio la crisi ucraina. Ma sono problemi che è ridicolo pensare di risolvere senza o contro Mosca. Anche perché in Ucraina coesistono due ragioni altrettanto legittime, quelle del governo di Kiev e quelle della popolazione di lingua, cultura e sentimenti russi. Si tratta di trovare un compromesso sostenibile fra queste ragioni, con Mosca e non contro Mosca”.

Egli peraltro, nel febbraio 2023, affermò: “Io a parlare con Zelensky se fossi stato il Presidente del Consiglio non ci sarei mai andato perché come sapete stiamo assistendo alla devastazione del suo Paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili: bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe avvenuto, quindi giudico, molto, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore”.

Inascoltato anche e soprattutto dai suoi, che hanno fatto e continuano a fare l'opposto di ciò che egli disse e promosse.

Suoi che, come i post-comunisti (PD and Co.) e i loro alleati, non hanno minimamente una politica estera seria e chiara, come diversamente Berlusconi proponeva: multipolare, dialogante, con un Occidente che – pragmaticamente – arginasse ogni forma di estremismo.

Anche relativamente al Medio Oriente, l'UE, non ha una politica seria e coerente, quando sarebbe invece necessario lavorare, anche lì, per una mediazione, per riconoscere lo Stato della Palestina, lottare contro il terrorismo, per il rilascio degli ostaggi e arginare governi che bombardano i civili.

Non ne parliamo, poi, della questione dei dazi, ove, ancora una volta, la dirigenza UE si è inchinata ai desiderata del Presidente USA di turno.

Un Trump che, peraltro, oggi dice una cosa, poi ne fa un'altra e... chissà, ne farà e dirà altre ancora, dimostrando assai poca coerenza e molta inconsistenza nella sua leadership.

Del resto, anche i bambini sanno che i dazi sono un danno economico per tutti e, nel medio-lungo periodo, finiranno per ritorcersi contro gli stessi USA.

In tempi di globalizzazione, di e-commerce, di Intelligenza Artificiale, del resto, nessun Paese è e può essere autosufficiente. Ogni divisione ideologica è, dunque, controproducente e profondamente sciocca.

L'arroccamento su posizioni ideologiche, estremiste, vetero-conservatrici, assunte dalla dirigenza di USA e UE, appare tanto assurdo quanto profondamente controproducente.

Il già Ministro degli Esteri Gianni De Michelis (dal 1989 al 1992), che ebbi l'onore di conoscere una ventina di anni fa, riconobbe tanto la necessità di integrare la Russia nel sistema europeo, quanto riconobbe l'importanza del nuovo corso socialista riformista intrapreso dalla Repubblica Popolare Cinese, da Deng Xiaoping in poi.

Ovviamente inascoltato, se pensiamo anche che fu ingiustamente travolto, come accadde a molti politici della sua epoca e generazione, nell'ambito della falsa rivoluzione di Tangentopoli.

Da allora in poi, sappiamo com'è andata.

Il socialismo, in Italia e Europa, è pressoché scomparso. In Italia sono stati sdoganati post-fascisti e post-comunisti (che hanno ampiamente malgovernato il Paese e che ben presto sono diventati fondamentalisti atlantisti). I partiti democratici di Centro-Sinistra (l'unico, vero e inimitabile, non certo il caravanserraglio del PD and Co.), sono stati completamente distrutti e sono scomparsi (lasciamo stare i cespuglietti che oggi si richiamano ad alcuni di quei gloriosi partiti della gloriosa Prima Repubblica...).

Mentre i Paesi BRICS crescono e lavorano per un nuovo ordine multipolare, più equo e più giusto, noi siamo ancora fermi alla mentalità da Guerra Fredda.

Alle guerre economiche e agli inutili riarmi.

Quando, diversamente, sarebbe necessario un mondo più unito, con un'unica alleanza militare globale (come peraltro proposto recentemente anche dal Presidente socialista colombiano Gustavo Petro) e magari anche con un'unica moneta mondiale, come teorizzato dall'ottimo prof. Giancarlo Elia Valori (egli in particolare, in un suo interessante articolo scrisse: quando tutte le persone avranno coscienza di essere uguali, e di avere parità di condizioni economiche e benessere, potrebbe essere possibile unificare la moneta mondiale. Un’unica moneta come frutto di un’acquisizione prima di tutto umana e psicologica, e solo dopo di fattori macro- o microeconomici”).

Le sfide che abbiamo davanti sono molto serie e un mondo diviso non potrà che aggravarle e renderle sempre più impervie.

Con l'Intelligenza Artificiale, adeguatamente governata, potremmo avere un valido supporto per il comparto sanitario e della sicurezza interna e internazionale.

Ma senza una classe dirigente all'altezza, tutto ciò potrebbe essere vanificato.

Non saranno gli estremismi, i fondamentalismi, gli arroccamenti ideologici nei quali si è infilato il cosiddetto Occidente che potranno esserci d'aiuto.

L'Europa unita (se mai lo sia stata davvero), ha smesso da tempo di essere quel baluardo di equilibrio, ragionevolezza, pragmatismo, welfare. Ma si è trasformata nel suo contrario.

Diversamente, tale ruolo, è stato assunto dalla Repubblica Popolare Cinese del socialista riformista Xi Jinping, che, con moderazione e ragionevolezza, promuove una “comunità umana dal futuro condiviso”, sostenendo il Sud del Mondo, dialogando e commerciando con tutti e gettando acqua sul fuoco dei conflitto globali.

Anche il Brasile del socialista Lula, sta svolgendo un ruolo simile. Il Presidente Lula, anche recentemente, ha ribadito peraltro la necessità di diffondere democrazia, affermando al summit di Santiago del Cile, del 21 luglio scorso: “In questo momento in cui l'estremismo sta cercando di far rivivere pratiche interventiste, dobbiamo agire insieme. Difendere la democrazia non è responsabilità esclusiva dei governi; richiede la partecipazione attiva del mondo accademico, dei parlamenti, della società civile, dei media e del settore privato”.

Più democrazia, più investimenti nel welfare, nel comparto sanitario, nell'Intelligenza Artificiale (per il benessere della comunità, non per i giochini da smartphone), più cooperazione internazionale. Più meritocrazia nella selezione della classe dirigente.

Più sinergia con i Paesi BRICS e meno dipendenza e sudditanza nei confronti degli ideologici USA.

Di questo avremmo necessità.

Mi spiace, come spesso mi accade, scrivere nelle conclusioni che sono molto, molto pessimista in merito.

Perché, purtroppo, credo che si proseguirà inesorabilmente, invece, nell'ideologismo e nel fondamentalismo controproducente nel quale ci si è già infilati e tutto ciò finirà per disgregare l'Europa e non per unirla. Per impoverirla e non per migliorare le condizioni dei suoi cittadini.

Per svenderla e non per renderla parte di una comunità globale, nell'ambito della quale prosperare, assieme a tutti gli altri Paesi del mondo.

Luca Bagatin

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venerdì 1 agosto 2025

Summit dei Movimenti di Liberazione in Sudafrica. Il Presidente Ramphosa: "Sostenere la visione di un ordine mondiale multipolare, multiculturale, equo, inclusivo e giusto". Articolo di Luca Bagatin

 

Dal 25 al 28 luglio scorso, in Sudafrica, a Johannesburg, si è tenuto il Summit dei Movimenti di Liberazione, ospitato dall'African National Congress (ANC), partito di governo socialista democratico e populista di sinistra.

Al Summit erano presenti rappresentanti del Movimento di Liberazione Popolare dell'Angola; dell'Organizzazione Popolare dell'Africa Sudoccidentale della Namibia (SWAPO); del Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO); dell'Unione Nazionale Africana dello Zimbabwe - Fronte patriottico (ZANU-PF); del Chama Cha Mapinduzi, ovvero del Partito Rivoluzionario della Tanzania (CCM); del Partito Comunista Cinese; del Partito Comunista di Cuba; del Fronte di Liberazione Nazionale dell'Algeria; del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale del Nicaragua; del Fronte Nazionale del Borswana; del Partito Democratico del Botswana e di Russia Unita. Sono giunti, peraltro, i saluti anche da parte del Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF).

Tema del Summit: “Difendere le conquiste della liberazione, promuovere lo sviluppo socioeconomico integrato, rafforzare la solidarietà per un'Africa migliore”.

Nel suo discorso introduttivo, il Presidente del Sudafrica e leader dell'ANC, Cyril Ramphosa, ha affermato che “Insieme, i nostri movimenti sono stati forgiati nel calderone della lotta anti-apartheid e anticoloniale. Oggi, insieme, dobbiamo essere nuovamente forgiati nel fuoco di una nuova lotta. La lotta per la giustizia sociale ed economica per il nostro popolo, l'unità regionale, l'integrazione e la sovranità in un ordine globale sempre più ostile”.

Egli ha aggiunto che: “Ci riuniamo quest'anno in occasione del 64° anniversario dell'indipendenza della Tanzania, del 50° anniversario dell'Indipendenza di Angola e Mozambico, del 45° anniversario dell'indipendenza dello Zimbabwe e del 35° anniversario dell'indipendenza della Namibia. È un momento non solo di celebrazione, ma anche di riflessione critica. Dobbiamo onorare la memoria dei nostri giganti fondatori: Julius Nyerere, Eduardo Mondlane, Samora Machel, Agostinho Neto, Sam Nujoma, Robert Mugabe, Joshua Nkomo, Kenneth Kaunda, Oliver Tambo, Nelson Mandela e molti altri”.

Il Presidente Ramphosa ha infatti sottolineato che “La loro visione, il loro coraggio, la loro audacia, la loro bravura e il loro sacrificio hanno gettato le basi dell'Africa meridionale libera in cui viviamo oggi. Ricordiamo con profonda riverenza il compagno Sam Nujoma e il compagno Hage Geingob della Namibia, recentemente scomparsi, fedeli sostenitori della SWAPO e combattenti per tutta la vita per la giustizia, l'uguaglianza e la dignità. Anche noi, qui in Sudafrica, ricordiamo il recentemente scomparso David Dabede Mabuza, ex Presidente della Repubblica del Sudafrica e dell'African National Congress”.

Egli ha fatto presente come “l'Europa si è sviluppata attraverso lo stesso sottosviluppo dell'Africa” e come sia necessario “respingere la xenofobia in tutte le sue forme”.

In tal senso ha sottolineato che “La nostra libertà è stata conquistata non solo dalle instancabili lotte dei nostri popoli, ma anche dagli sforzi di persone provenienti da tutto il mondo”.

E come, sulla base di tale esperienza, “riaffermiamo il nostro sostegno ai popoli della Palestina, del Sahara Occidentale e di Cuba. Condanniamo con la massima fermezza i crimini contro l'umanità e il genocidio commessi dallo Stato di apartheid di Israele contro il popolo palestinese. Siamo particolarmente inorriditi dalla deliberata fame inflitta alla popolazione di Gaza.

Chiediamo allo Stato di Israele di consentire l'ingresso e la distribuzione di cibo e aiuti essenziali tra i palestinesi affamati. Chiediamo la fine immediata dei bombardamenti incessanti sui civili e della distruzione delle loro case, dei loro ospedali, dei loro luoghi di culto. Chiediamo al mondo di fermare l'uccisione di bambini e neonati per fame”. Sottolineando come “La nostra posizione rimane molto chiara. La liberazione è indivisibile. Non saremo veramente liberi finché tutti non saremo liberi…”.

Il Presidente Ramphosa ha proseguito affermando che “Dovremmo sostenere la visione di un ordine mondiale multipolare, multiculturale, equo, inclusivo e giusto. Dovremmo chiedere la riforma delle istituzioni di governance politica ed economica globale, la fine delle sanzioni unilaterali e la creazione di un sistema di governance globale giusto, radicato nella dignità e nell'equità. Collaborando con forze affini in tutto il mondo, dobbiamo essere gli architetti del nuovo ordine mondiale che cerchiamo”.

Il capo del Dipartimento internazionale del Partito Comunista Cinese (PCC), Liu Jianchao, è successivamente intervenuto portando i saluti dei 100 milioni di membri del PCC e del Presidente e Segretario Generale Xi Jinping.

Egli ha esaltato la lotta di liberazione economica e di rinascita delle civiltà africane, liberatesi dal giogo del colonialismo europeo, ricordando anche le lotte di Nelson Mandela. Egli ha altresì fatto presente come la stessa Cina abbia affrontato un percorso lungo e difficile verso l'emancipazione e la modernizzazione, che l'ha portata, attraverso la saggia guida del PCC, ad essere la seconda economia del mondo.

Relativamente all'Africa, Liu Jianchao ha affermato che “La Cina sosterrà l'Africa nel coltivare i motori della modernizzazione, vale a dire un'industrializzazione verde, equilibrata e sostenibile, la modernizzazione agricola e una forza lavoro qualificata per trasformare ogni risorsa, le ricche risorse e il dividendo demografico in veri e propri motori di crescita. E la Cina sosterrà l'Africa nel rivitalizzare le civiltà africane e nel trarre forza dalla sua splendida civiltà nel cammino verso la modernizzazione. Come disse una volta il compagno Nelson Mandela, la rinascita africana è ormai più di un'idea”.

E' stato inoltre letto un messaggio da parte del Partito Comunista della Federazione Russa, nel quale si afferma, fra le altre cose, che “Siamo orgogliosi che l'Unione Sovietica, guidata dal Partito Comunista, abbia dato un contributo significativo al sostegno della lotta di liberazione. Migliaia di attivisti dei vostri movimenti hanno ricevuto formazione nelle scuole e nelle università militari dell'allora Unione Sovietica. I nostri ufficiali militari hanno lavorato nei campi del movimento di liberazione in Africa. I diplomatici sovietici hanno difeso i vostri legittimi interessi alle Nazioni Unite. Abbiamo fornito questo supporto nonostante l'Occidente cercasse di etichettarvi come terroristi. Oggi, il potere politico appartiene ai governi democratici che riflettono gli interessi del popolo”.

Secondo i rappresentanti dell'African National Congress, partito che governa il Sudafrica, “L'ANC ritiene che la sopravvivenza politica, economica e culturale dell'eredità di liberazione dell'Africa meridionale richieda un'onesta introspezione, un apprendimento condiviso e un'unità concreta”.

In tal senso “Il Summit promuoverà quadri di collaborazione interpartitica, integrazione regionale, coinvolgimento dei giovani e governance delle risorse sovrane. Riaffermando valori condivisi e rafforzando alleanze, il Summit dei Movimenti di Liberazione del 2025 traccerà un percorso che protegga le conquiste del passato e costruisca al contempo un futuro africano giusto, inclusivo e autodeterminato”.

Il prossimo vertice dei Movimenti di Liberazione africana e panafricana, sarà ospitato dal Partito Rivoluzionario della Tanzania (CCM), che al momento governa in Paese, guidato da Samia Suluhu Hassan e che sarà anche la candidata alle elezioni presidenziali e parlamentari del 29 ottobre prossimo.

L'Africa sovrana e socialista, sostenuta dai BRICS, c'è e ribadisce e sostiene quella giustizia e quell'ordine internazionale equo e giusto, troppo spesso violato da chi ha fatto del colonialismo, del razzismo, del suprematismo e dell'ipocrisia, la sua bandiera.

Luca Bagatin

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mercoledì 30 luglio 2025

Riflessioni sul socialismo, la libertà di pensiero (e non solo), il riformismo, il fondamentalismo. Di Luca Bagatin

  

https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/670930/ritratti-del-socialismo/  

Propagandare una falsa idea di libertà, non significa promuovere la libertà.

La libertà implica responsabilità, formazione, capacità di giudizio.

In assenza di questi aspetti siamo in presenza di irresponsabilità e, quindi, di schiavitù.

(Luca Bagatin)

 

Il socialismo è equivoco e, dunque, non è socialismo quando sceglie o la via dello stalinismo, oppure quella del liberal capitalismo.
A quel punto, esso non è più socialismo, ma deviazionismo di sinistra, ovvero nemico del socialismo.
Il deviazionismo di sinistra va soffocato sul nascere. Sempre e comunque.
 
(Luca Bagatin)
 
Diffidate della parola "riformista"....
Giuseppe Saragat disse, al congresso di fondazione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, nel 1947: "Quanto più il proletariato sarà democratico, tanto più troverà alleati, tanto più sarà forte. Oggi si pensa che l'ultima parola della saggezza politica sia il riformismo anti-democratico. Noi pensiamo invece che debba essere la democrazia anti-riformista".
 
 (Luca Bagatin)
 
La caccia al "putiniano", l'accusa di "putinismo", mi ricorda tanto la caccia al "piduista" e l'accusa di "piduismo", nata con il FALSO scandalo P2.
Anche allora un tentativo di screditare persone perbene, che nulla avevano commesso, salvo essere iscritti a una Loggia massonica REGOLARE ingiustamente accusata di essere segreta o eversiva.
Le sentenze definitive, purtroppo tardive, hanno fatto cadere quelle ingiuste accuse. Purtuttavia ancora usate da certa mala stampa e mala politica.
Guarda caso, gli accusatori, ignoranti e/o in malafede, provengono e provenivano sempre dalla stessa parte: comunisti, postcomunisti, missini, democristiani di sinistra, repubblicani in realtà repubblichini.
Ma guarda un po'.....
La Storia va studiata per intero.
Senza pregiudizi e senza temere la VERITÀ.
 
 (Luca Bagatin)
 
Oggi il fondamentalista ha il volto dell'europeista stile Von Der Leyen, che svende gli interessi europei al regime di Washington.
Oggi il fondamentalista ha il volto guerrafondaio di Rutte, che sostiene le autocrazie che hanno messo il bavaglio all'opposizione di sinistra.
Oggi il fondamentalismo si traveste da "riformismo ', per meglio zittire e bombardare gli innocenti e le persone pensanti.
Questo è il neofascismo.
E ha il volto del liberal capitalismo e del finto progressismo.

 (Luca Bagatin)

In Italia non c'è mai stato l'humus per la nascita del socialismo autentico.

E' una realtà.

Ha avuto successo un PCI compromesso con il fascismo (grazie alle amnistie di Togliatti) e la chiesa cattolica (grazie al sostegno ai fascisti Patti Laternanensi in Costituzione, sostenuti anche dai fascisti).

Il PSI, invece, è sempre stato ai margini e così la corrente di sinistra del PRI, di Pacciardi e Mario Bergamo, il quale, giustamente, decise di rimanere in esilio in Francia.

Solo Bettino Craxi qualcosa fece.

E fu fatto fuori. Dall'ingratitudine dei soliti italidioti e da molti dei suoi, all'interno di un PSI diviso fra un "si salvi chi può" e "ciascun per sé, tanto il leader non c'è".

In Italia nulla può nascere di buono e senza equivoci (anche se sarebbe bello). Al massimo continuerà a svilupparsi tutto ciò che è anche fin troppo compromesso e equivoco....

(Luca Bagatin) 

Le ideologie, così come le religioni, servono agli imbecilli e alle menti deboli per credere in qualcosa. Che in generale non capiscono, né capiranno mai.

E così nascono quelle divisioni, quelle tifoserie, che fanno comodo a chi comanda.

Del resto le menti deboli, nel mondo, abbondano.

Mentre a comandare sono sempre in pochi.

Non si pianga, dunque, sul latte versato. Perché chi è causa del suo mal... pianga sé stesso.

(Luca Bagatin) 

Se penso alle motivazioni per le quali alcuni miei articoli sono stati censurati (da direttori e linee editoriali molto discutibili) mi viene un po' da ridere.

Spesso si è trattato della ridicola e penosa questione relativa al "fascismo"/"antifascismo" e al "comunismo"/"anticomunismo".

Mi viene da ridere perché:

1) ciò che scrivo attiene alla Stora;

2) sono estraneo tanto al fascismo quanto al comunismo italiano e per entrambi ho simpatia pari a (sotto) zero;

3) sostengo che fascismo e comunismo italiano siano esistiti nella misura in cui erano (e rimangono, come concetti) funzionali alla borghesia e alle élite liberal capitaliste.

Chi mi ha censurato non ha mai capito un nulla. Ma si tenga pure le sue ridicole e inutili ideologie (funzionali a qualcun altro, come ho sopra scritto).

(Luca Bagatin) 

La vacuità dell’imbelle politica estera dell’Unione Europea. Articolo del prof. Giancarlo Elia Valori

 

Come nella crisi di Gaza, anche nella crisi con l’Iran, la guerra Ucraina-Russia, l’Unione Europea sta seguendo gli eventi dall’esterno. Queste crisi rivelano in larga misura l’irrilevanza dell’Unione e la sua incapacità di influenzare il corso degli eventi, per non parlare di porvi fine. Tra le ragioni di ciò, vi è l’avversione del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump per l’Unione Europea. A differenza del suo predecessore, l’ex Presidente Biden, Trump non vede l’Unione come alleati e partner da impiegare o con cui consultare. Pertanto, l’Unione Europea e i suoi Stati membri non hanno altra scelta che accontentarsi delle sole dichiarazioni. Il denominatore comune della maggior parte di essi include i termini: de-escalation, moderazione e diplomazia come mezzo per porre fine al conflitto: parole.
Nel 2020, in seguito all’elezione del presidente Biden, i Paesi dell’Unione, dopo quattro anni di Trump, hanno potuto tirare un sospiro di sollievo quando ha dichiarato che “l’America è tornata”. In tal modo, Biden ha voluto chiarire che gli Stati Uniti stavano riadottando i principi che avevano guidato la politica estera e di sicurezza nei decenni successivi alla fine della II Guerra Mondiale: un ritorno all’ordine liberale, l’ampliamento della cerchia delle democrazie, l’importanza delle alleanze, il sostegno alle istituzioni internazionali e altro ancora. L’ingresso di Trump alla Casa Bianca rappresenta un cambio di paradigma nella condotta degli Stati Uniti e, di conseguenza, anche nelle relazioni transatlantiche.
In effetti, stiamo assistendo a uno scontro “ideologico” tra due visioni del mondo sulla natura delle relazioni internazionali. Mentre l’UE cerca di preservare l’ordine internazionale liberale, che include il mantenimento delle istituzioni internazionali esistenti e delle norme che guidano la condotta internazionale, Trump non si sente obbligato a farlo, se non per l’ambizioso compito che si è prefissato, ovvero quello di riportare l’America alla sua grandezza. A suo avviso, per realizzare questo obiettivo, tutti i mezzi sono ammissibili, inclusa la distruzione dell’ordine esistente e, se necessario, l’uso della forza, con tutto ciò che ciò comporta.
Nell’ordine globale che Trump contribuirà a plasmare, e che si baserà su un equilibrio di potere tra le grandi potenze, sulla forza militare, economica e tecnologica e su una possibile divisione in sfere di influenza, i Paesi dell’UE (e l’UE stessa quale istituzione) sono svantaggiati. Oltre alle divergenze di opinione sulla risposta alla politica attesa da Trump e a tutto ciò che rappresenta, i divari tecnologici ed economici riducono il potere contrattuale dell’UE nei confronti degli Stati Uniti d’America. A ciò si aggiunge la dipendenza europea dall’assistenza statunitense per la propria sicurezza.
In questo stato di cose, l’UE sarà costretta ad adattarsi alle nuove regole del gioco in fase di definizione. Pertanto, per eludere le varie minacce di Trump (l’imposizione di dazi e la riduzione del supporto alla sicurezza), l’UE (che non desidera arrivare a un conflitto) dovrà contribuire in modo da soddisfare almeno alcune delle richieste del presidente statunitense – un compito non facile data la mancanza di unità di vedute tra i Paesi membri. Questa situazione potrebbe fare il gioco di Trump, che si impegnerà a bilateralizzare le relazioni con i Paesi che accetteranno di soddisfare le sue condizioni.
Si prevede un periodo di assestamento difficile per l’Unione, che non ha saputo sfruttare la chiamata al risveglio ricevuta per prepararsi adeguatamente alla seconda era Trump.
Per quanto riguarda l’imbelle politica estera europea, facciamo alcuni esempi.
Durante gli attuali mesi di proteste popolari contro il regime serbo, l’Unione Europea ha costantemente sostenuto il presidente Aleksandar Vučić. Ma ora, la repressione sempre più brutale delle proteste pacifiche da parte di Vučić ha posto la politica dell’UE a un punto di svolta: continuare a placare Vučić con la massima serietà, oppure accettare l’incertezza.
A giudicare dalla mancanza di reazione da parte di Parigi, Berlino e della Commissione Europea, l’Unione Europea cercherà di rimanere neutrale il più a lungo possibile. Ma l’accelerazione degli eventi sul campo potrebbe presto costringere l’Unione Europea a prendere posizione.
Al termine di una grande protesta tenutasi a Belgrado lo scorso 28 giugno, che ha radunato oltre 100.000 persone, gli oratori hanno dichiarato che il movimento studentesco era ormai un movimento civile più ampio e hanno chiesto la disobbedienza pacifica.
La manifestazione di protesta è stata accompagnata da scontri e violenta repressione della polizia a Belgrado e, subito dopo, da blocchi del traffico in tutta la Serbia. Nella settimana successiva, agenti di polizia e i loro assistenti in uniforme e maschere (tra cui, secondo testimoni oculari, membri della Republika Srpska nella vicina Bosnia-Erzegovina) sono stati coinvolti in brutali pestaggi e dispersioni di manifestanti, scatenando l’indignazione pubblica per la violenza, aggravata dalla dichiarazione di Vučić di essere “soddisfatto” della polizia. Nonostante la violenza dello Stato, gli assedi e le proteste non accennano ad attenuarsi.
Quella che è iniziata come una protesta studentesca contro un sistema corrotto, innescata dal crollo della pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad, in cui hanno perso la vita sedici persone, si è trasformata in un diffuso movimento popolare.
Ad aprile e maggio, delegazioni di studenti si sono recate in bicicletta a Strasburgo e hanno corso un’ultramaratona a Bruxelles per fare pressione sull’Unione Europea affinché cambiasse la sua politica nei confronti della Serbia.
I funzionari dell’UE hanno evitato i ciclisti, mentre la Commissaria europea per l’allargamento e la politica di vicinato, la slovena Marta Kos, e il Commissario europeo per l’equità intergenerazionale, la gioventù, la cultura e lo sport, il maltese Glenn Micallef, hanno incontrato i corridori a maggio.
La Kos ha compiuto una svolta retorica, riconoscendo che gli obiettivi e i valori del movimento studentesco per il cambiamento in Serbia sono pienamente coerenti con i valori dichiarati dell’Unione Europea e con i requisiti dell’acquis. Ma alla maggior parte dei serbi e degli osservatori è sembrata debole. I commissari non hanno ottenuto nulla e la politica dell’UE è rimasta disorganizzata.
Vučić ha resistito ai rimproveri pubblici dei funzionari dell’UE. La sua sfida è stata “premiata” qualche giorno dopo con la visita a Belgrado del presidente del Consiglio europeo, il portoghese António Costa, seguita immediatamente dalla visita dell’Alta rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, la estone Kaja Kallas.
La Kallas, che ha invitato la Serbia a fare una “scelta strategica” riguardo al suo orientamento geopolitico, ha reso pubblico il suo disappunto, ma le due visite da sole hanno trasmesso una dinamica di potere in cui Bruxelles è il supplicante.
Non ci sono state conseguenze politiche, né prove che la Commissione stia ridefinendo la sua politica nei confronti della Serbia, che rappresenta una notevole eccezione tra i Paesi dei Balcani occidentali che aspirano all’UE, con un tasso di consultazione per la politica estera e di sicurezza comune che si aggira intorno al 50-60 percento.
Alla fine di giugno, in seguito alle dure critiche pubbliche da parte del servizio di intelligence estero russo, l’SVR, per il “tradimento” della Serbia nella vendita di armi all’Ucraina attraverso Paesi terzi, Vučić ha annunciato la sospensione delle vendite di armi all’estero, compresa l’Ucraina.
Ad aumentare la pressione sulle difese dell’Ucraina, all’inizio di luglio sono state interrotte le spedizioni statunitensi di missili Patriot e di proiettili di artiglieria da 155 mm (anch’essi prodotti in Serbia).
Vale la pena considerare la possibilità che questi movimenti siano coordinati. Mentre Vučić partecipava al vertice Ucraina-Europa sudorientale a Odessa l’11 giugno, si è rifiutato di firmare la dichiarazione di condanna dell’aggressione russa e in seguito ha cercato di affermare di non essere un “traditore della Russia”. Il comitato ha comunque elogiato la sua partecipazione.
In seguito la presidente della Commissione europea, la tedesca Ursula Gertrud Albrecht, coniugata von der Leyen, ha avuto un colloquio bilaterale con Vučić della durata di mezz’ora, un evento raro.
Il contenuto del loro incontro non è chiaro. Ma se intendeva essere un rimprovero o un avvertimento dopo le violenze del 28 giugno, di certo non ha avuto alcun effetto. Più a lungo la politica dell’UE rimarrà invariata, più i serbi concluderanno che ha di fatto dato a Vučić licenza di reprimere.
La Commissione (con l’apparente sostegno della maggior parte degli Stati membri) sembra credere che accordi con incentivi finanziari – ignorando invece le difficili questioni di valore – possano tutelare gli interessi dell’UE in Serbia e, per estensione, nell’insieme dei Balcani occidentali.
Questa tendenza a delegare i problemi politici al danaro è diventata insostenibile e sta accelerando il declino della popolarità dell’UE tra i cittadini serbi. Questo fatto induce l’UE a collaborare con Vučić, il cui obiettivo è sfruttare il predominio mediatico per sminuire il valore dell’UE tra i serbi e aumentare quello di Russia e Repubblica Popolare della Cina.
Ancora più dannosa è la questione che i timidi messaggi dell’UE abbiano in realtà incoraggiato Vučić a intensificare la repressione. Ha scatenato violenti delinquenti contro i manifestanti e ha lanciato un’incessante campagna mediatica che denuncia gli studenti come “terroristi” pagati dai nemici della Serbia (ovvero i governi occidentali) per rovesciare il governo – ossia una riedizione di una “rivoluzione colorata” volta a un cambio di regime.
Vučić interpreta chiaramente gli accordi con l’UE come una licenza per mantenere e persino rafforzare i suoi legami con Mosca. La repressione sempre più brutale di Vučić dovrebbe finalmente portare a una ridefinizione della politica dell’UE basata sui valori. Ma anche se si tratta di un approccio transazionale, vi è una forte motivazione per un cambiamento di politica. Se un’“unione geopolitica” ha dimostrato la volontà di legare il percorso di allargamento della Serbia alla fornitura di vantaggi strategici e di sicurezza a breve termine, allora è logico concludere che gli sforzi attivi di Vučić per minare questi interessi si tradurranno in una reazione politica altrettanto distruttiva.
Data la consolidata inerzia istituzionale dell’UE, gli Stati membri sono gli agenti di cambiamento più credibili. La Danimarca sta dando inizio alla tanto attesa ricalibrazione del pilota automatico della politica dell’UE nei confronti della Serbia e della regione, affinché sia non solo strategicamente valida, ma anche coerente con i valori democratici dell’Unione.
Ciò sarà possibile solo se si formerà una coalizione tra gli altri Stati membri. Questo inizierà con una chiara definizione di ciò che la Danimarca e i Paesi con idee simili si aspettano dai governi candidati, tra cui non solo l’armonizzazione della politica estera, ma anche un impegno concreto a rispettare l’insieme completo degli impegni di Copenaghen. È essenziale mostrare sostegno a coloro che in Serbia stanno correndo rischi in nome dei valori fondamentali dell’Unione Europea.
Il rischio per l’Unione Europea, non solo in Serbia ma in tutti i Paesi dei Balcani occidentali, è serio. Invece di conquistare la Serbia, la politica dell’UE di sostenere Vučić rischia di perderla per la successiva generazione, indipendentemente dal successo o dal fallimento delle proteste. Sia chiaro: la scelta dell’UE di “stabilità” in questo momento significa di fatto sostenere la repressione violenta in Serbia. Questa politica tradisce quindi sia i valori democratici fondamentali dell’UE sia i suoi interessi, a breve e a lungo termine, di fronte alle sfide provenienti da Est, Ovest e interne.
Va anche detto che la tendenza all’ascesa della destra in Europa è un processo che ha iniziato ad aumentare nell’ultimo decennio, sullo sfondo della crisi dei rifugiati del 2015, delle preoccupazioni sulla globalizzazione e dell’insoddisfazione nei confronti della politica dell’Unione Europea su diverse questioni.
Le elezioni del Parlamento europeo del giugno 2024 hanno accresciuto il potere dei partiti di destra tradizionali e della destra populista-nazionalista, talvolta definita estrema. Questa tendenza si riflette anche nelle elezioni nazionali e regionali di Paesi europei come Danimarca, Finlandia, Italia, Paesi Bassi, Slovacchia, Svezia e Ungheria, dove i partiti di destra populista-nazionalista fanno parte della coalizione di governo o sostengono il governo stesso. In Francia e Germania, i partiti populisti di destra sono partiti di opposizione con un potere significativo. In Belgio, i partiti di destra hanno ottenuto un grande successo alle elezioni di giugno, che hanno costretto il primo ministro liberale alle dimissioni, e a marzo di quest’anno un partito populista chiamato Chega! (“Basta!” in portoghese) è emerso anche in Portogallo con il 18% dei voti, un risultato molto insolito per questo Paese. I sondaggi in Austria in vista delle elezioni di settembre indicano un rafforzamento del Partito della Libertà, partito di destra populista-nazionalista.
La destra tradizionale e i populisti-nazionalisti costituiscono la maggioranza nel nuovo parlamento europeo. Dei 720 eurodeputati, 407 appartengono a blocchi che possono essere definiti di destra e di destra populista-nazionalista. È importante notare che il Parlamento europeo è composto da blocchi, non da partiti. Tuttavia, i sondaggi prevedevano una maggioranza più ampia. La domanda è: quale impatto avrà questa composizione del parlamento sulla politica europea? Va subito sottolineato che il potere principale del Parlamento risiede nell’approvazione del bilancio europeo. Non è un’autorità legislativa nel senso noto ai parlamenti nazionali e non ha potere di iniziativa legislativa. Il suo potere in tutte le questioni relative alla politica estera è pressoché nullo; è la Commissione europea che propone l’iniziativa legislativa che viene discussa nel Consiglio dei ministri europeo o nel Consiglio europeo, che è un organo composto da primi ministri o capi di Stato, soprattutto quando si tratta di decisioni di politica estera che vengono prese solo per consenso unanime. Allo stesso tempo, la composizione del parlamento può certamente influenzare i ministri e i capi di Stato che si riuniscono per prendere decisioni, esercitando una pressione politica. Bisogna anche considerare che non esiste una disciplina di coalizione nel senso che è familiare in diversi Paesi del mondo. Quindi i modelli di voto non sono sempre prevedibili. Inoltre, su alcune questioni, soprattutto in politica estera (gli atteggiamenti verso la Repubblica Popolare della Cina, verso la Russia, ecc.), non c’è unanimità di opinioni a destra, e soprattutto non nella destra populista-nazionalista, che presenta vari gradi di estremismo. In ogni caso, la destra populista-nazionalista è generalmente caratterizzata da posizioni uniformi su questioni fondamentali che riguardano la politica europea, come segue:

a) la destra populista-nazionalista è euroscettica a vari livelli, il che significa che cerca di ridurre il potere di controllo delle istituzioni dell’Unione sulla vita dei singoli Paesi membri dell’UE, con la posizione più estrema che mira a smantellare l’Unione. È sottinteso che gli euroscettici si oppongono all’espansione dell’Unione attraverso l’aggiunta di nuovi Paesi.

b) La destra populista-nazionalista è riluttante a lasciarsi prendere dal panico per il “pericolo climatico” e a investire miliardi in “energia verde”. In Germania, ad esempio, il partito populista-nazionalista Alternative für Deutschland-AfD chiede un ritorno al nucleare e alle fonti di energia basate sul carbonio.

c) la destra populista-nazionalista chiede con forza una politica più decisa per prevenire l’immigrazione illegale. Già nel 2015-2016, diversi membri dell’UE si erano uniti all’Ungheria nel chiedere una politica più aggressiva ed efficace per prevenire l’immigrazione illegale, e sembra quindi che il crescente potere della destra in parlamento spingerà altri membri ad aderire a questa iniziativa.

d) i rappresentanti dei governi di destra nel Consiglio dei Ministri europeo porranno certamente il veto a qualsiasi proposta di imporre sanzioni o adottare politiche punitive contro Paesi terzi per quelle che sarebbero definite violazioni dei diritti umani o crimini di guerra da parte di tali Paesi. Questo approccio è già stato espresso in passato, quando l’Ungheria (e altri Paesi) hanno posto il veto a proposte di risoluzione riguardanti Repubblica Popolare della Cina, Russia, ecc.

Eppure, nonostante la tendenza all’ascesa della destra, sia al Parlamento europeo che nei parlamenti nazionali e negli organi esecutivi, non sembra che ci si debba aspettare cambiamenti di vasta portata nella politica dell’UE sulle questioni chiave sopra menzionate.
Il 18 luglio 2024, la von der Leyen, ha presentato al Parlamento europeo il suo piano di lavoro per i prossimi cinque anni. Ciò rientrava nella sua aspirazione a essere eletta per un secondo mandato. I messaggi che la von der Leyen ha trasmesso al Parlamento riflettevano lo spirito della precedente legislatura e non lo spostamento elettorale a destra. Al contrario, come accenno al suo disappunto per l’ascesa della destra populista-nazionalista (estrema a suo avviso), la von der Leyen ha esordito affermando che non avrebbe rinunciato ai valori europei così come emersi dopo la II Guerra Mondiale e che non avrebbe mai accettato i tentativi di demagoghi ed estremisti di distruggere lo stile di vita europeo. Ha detto: «Sono convinta che la versione dell’Europa dopo la II Guerra Mondiale, nonostante tutti i suoi difetti, sia ancora la migliore nella storia dell’umanità. Non permetterò mai che questa versione venga fatta a pezzi, né da fattori interni né esterni […] Non permetterò mai a demagoghi ed estremisti di distruggere lo stile di vita europeo». In questo modo, ha lasciato intendere che, dal suo punto di vista, le coalizioni con i partiti populisti-nazionalisti di destra sono fuori questione.
Certamente non si riferiva alla furia dell’Islam radicale nella parte occidentale del continente. A questo proposito, ha sottolineato che i fondi del bilancio dell’Unione Europea sarebbero stati trattenuti per gli Stati membri che non “rispettano lo stato di diritto”, alludendo non solo all’Ungheria sotto il governo nazionalista Orbán, che ha già sperimentato sanzioni finanziarie, ma anche ad altri Paesi che non rispettano le norme europee sui diritti umani, come la Polonia con la sua legge conservatrice sull’aborto. Nel suo intervento, von der Leyen ha rispecchiato una tendenza alla continuità della linea progressista liberale che ha caratterizzato per anni la retorica e la legislazione europea.
L’ideologia dominante in Europa, e più precisamente nell’Europa occidentale, sui temi dell’immigrazione e dell’ambientalismo, così come su altri temi come l’allargamento e l’approfondimento dell’Unione, che si identifica con i valori della sinistra, continuerà, per quanto riguarda la von der Leyen, a influenzare il percorso dell’Unione. Ridurre le emissioni di gas serra del 90% entro il 2040 e del 100% entro il 2050 rimane un obiettivo dichiarato. Si stima che il raggiungimento di questo obiettivo richiederà un investimento di diverse migliaia di miliardi di euro con notevoli conseguenze politiche ed economiche, che aumenteranno anche i poteri di controllo della Commissione europea a scapito del grado di sovranità degli Stati membri, in chiara opposizione agli interessi degli ambienti di destra e populisti-nazionalisti.
Anche riguardo al problema dell’immigrazione, la von der Leyen non ha adottato una linea di destra. Sebbene abbia annunciato un significativo aumento delle risorse di FRONTEX, l’agenzia per la protezione delle frontiere europee dall’immigrazione illegale, il problema non riguarda il personale, ma i poteri conferiti al personale dell’agenzia. In pratica, il personale dell’agenzia non dispone di strumenti legali per prevenire l’invasione dei migranti dal Mar Mediterraneo e, di fatto, si ritrova a collaborare alle operazioni di soccorso e al trasferimento dei migranti nei centri per l’esame dell’idoneità all’asilo politico.
La von der Leyen ha persino ripetuto il mantra dei diritti umani nel contesto dell’immigrazione, nello spirito della sinistra europea: «Rispetteremo sempre i diritti umani e assorbiremo coloro che ne hanno diritto, aiutandoli a integrarsi nelle comunità». Va notato che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che un immigrato clandestino intercettato in mare da navi europee, anche quando la costa nordafricana è in vista, ha il diritto di sbarcare su una costa europea e di sottoporsi a una procedura per l’esame dell’idoneità all’asilo politico.
La mappa politica dell’Unione Europea riflette quella dei due principali membri dell’Unione: Germania e Francia, ed in entrambi i Paesi l’ascesa della destra populista non ha causato sconvolgimenti politici. La destra ha accettato con sottomissione l’approccio della sinistra. In Germania, questo era già evidente durante il mandato di Angela Merkel, che governava come cancelliera per conto del partito conservatore e la cui voce era la voce della destra e le sue mani quelle della sinistra. Lì i media di sinistra hanno un ruolo importante nel delineare la mappa politica. Il budget della radiotelevisione pubblica in Germania si avvicina ai dieci miliardi di euro all’anno e, secondo un sondaggio, circa l’80% dei suoi dipendenti ha un approccio politico di sinistra. Sia in Germania che in Francia, la destra conservatrice, definita moderata, non osa costruire una coalizione di governo con i partiti populisti di destra, nazionalisti in Germania e nazionalisti in Francia. Franz Josef Strauss, che fu primo ministro della Baviera e ministro della Difesa della Germania, affermò all’epoca che a destra il Partito Cristiano Democratico non aveva posto per un partito legittimo, o in altre parole: «Alla nostra destra c’è solo il muro».
Dalla II Guerra Mondiale, l’estrema destra europea non ha goduto di una simile rinascita, eppure il cittadino europeo accetta le politiche di sinistra, e persino (come sembra in Francia) quelle di estrema sinistra. Il piano della von der Leyen lusinga il blocco “verde” di sinistra al Parlamento europeo con i suoi 53 membri, e non il blocco di centro-destra con i suoi 188 membri (nella precedente legislatura, la von der Leyen era la candidata di centro-destra), e questo costituisce una deviazione dalla decenza democratica, e forse va anche oltre, poiché crea un circolo vizioso: la sinistra si trincera nelle posizioni di governo, il che rafforza ulteriormente le tendenze populiste di destra nell’opinione pubblica che tendono a orientarsi a destra, allontanando ulteriormente le possibilità di coalizioni con la destra moderata. In tali casi, il gioco democratico normativo potrebbe essere sostituito da una violenza aperta, il cui risultato sarà a destra.
Liberare le politiche delle istituzioni dell’UE dalle catene delle parole, del politicamente corretto, del buonismo, di un’entità politica che non ha nemmeno un esercito comune (e delega ad “altri”) sembra un compito quasi impossibile nel prossimo futuro. La pesante nube della storia oscura della prima metà del XX secolo incombe ancora sulla coscienza e sul subconscio europei, offuscando la distinzione tra sano patriottismo e arrogante nazionalismo. L’Europa crede di potersi salvare dal pericolo di cadere nell’abisso del totalitarismo non porgendo la mano alle coalizioni di destra.
In conclusione, l’ascesa dei partiti di destra in Europa segna un cambiamento significativo nel panorama politico del Continente. Sebbene l’impatto immediato sulla politica dell’UE possa essere limitato, questa tendenza indica possibili cambiamenti a lungo termine su questioni come l’immigrazione, la politica climatica e le relazioni estere.

Giancarlo Elia Valori 

lunedì 28 luglio 2025

Chen Duxiu (1879 – 1942), co-fondatore e primo Segretario del Partito Comunista Cinese. Articolo di Luca Bagatin

 

La democrazia e il socialismo sono complementari e non opposti. La democrazia non è indissolubilmente legata al capitalismo e alla borghesia. Se, nell'opporsi alla borghesia e al capitalismo, il partito politico del proletariato si oppone anche alla democrazia, allora anche se la cosiddetta “rivoluzione proletaria” dovesse emergere in una serie di Paesi, senza la democrazia a fungere come antitossina alla burocrazia, non si formerebbero altro che Stati burocratici sullo stile di Stalin, brutali, corrotti, ipocriti, fraudolenti, marci, degenerati e incapaci di mettere in atto qualunque forma di socialismo”.

Questo scriveva Chen Duxiu (1879 – 1942), co-fondatore e primo Segretario del Partito Comunista Cinese dal 1921 al 1927.

Ed ancora, nel maggio 1942 – quindici giorni prima di morire - egli scriveva, a proposito delle nazioni oppresse: “Le nazioni oppresse sono il prodotto dell'imperialismo capitalista. I lavoratori oppressi producono merci per l'imperialismo; i popoli oppressi delle nazioni arretrate comprano merci dagli imperialisti e producono materie prime per loro. Questi sono i due punti di appoggio dell'imperialismo capitalista”. (…) Un movimento realmente socialista desidera rovesciare l'imperialismo capitalista internazionale da cima a fondo. Ecco perché, sin dalla Prima Internazionale, “la liberazione della popolazione lavoratrice oppressa” e “la liberazione delle popolazioni oppresse” sono state le due bandiere di questo movimento”.

Chen Duxiu fu figura ingiustamente oscurata dalla storiografia ufficiale, per lungo tempo. Ancora oggi possiamo trovare i suoi scritti, almeno in Italia, unicamente raccolti in un piccolo libro edito nel 1999, da Prospettiva Edizioni.

Lo stesso Partito Comunista Cinese, a partire dal 1927 e per molto tempo, volle oscurarne l'opera e la figura, per il suo strenuo anti-stalinismo e il recupero di quell'umanesimo marxista che fu compreso, in Cina, da altre figure osteggiate, quali Zheng Chaolin, Peng Shuzi, Wang Fanxi. I cosiddetti trotzkisti cinesi.

Del resto anche in Italia abbiamo avuto i nostri trotzkisti, nel Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) di Giuseppe Saragat, Roberto Tremelloni e Angelica Balabanoff.

Ovvero umanisti marxisti che si opponevano a Stalin e alla sua revisione delle idee marxiste e guardavano non già a un vuoto “riformismo borghese”, ma alla socializzazione dell'economia e ad una democrazia compiuta e fondata sulla giustizia sociale e sul primato della comunità, rispetto agli interessi privati e particolaristici.

Chen Duxiu nacque e visse in un'epoca tumultuosa per la Cina.

Una Cina che vide crollare il suo impero e la nascita dell'epoca dei cosiddetti Signori della Guerra, nell'ambito di una Repubblica fragile e corrotta, ancora preda dell'imperialismo delle potenze europee, degli USA e del Giappone.

Chen Duxiu nasce come giovane attivista democratico e antimperialista, spesso arrestato per la sua attività politica. Nel 1915 è nominato rettore della Facoltà di Lettere di Pechino.

E' fondatore della rivista “La nuova gioventù”, che si batte per la democrazia, la rinascita nazionale, l'affermazione della scienza, che spazzi via le vecchie tradizioni confuciane.

Egli parla di rivoluzione della morale e dell'etica, della letteratura, delle arti, di amore universale, di lavoro dignitoso per tutti, di eguaglianza, di rivoluzione dello spirito e di felicità per l'intera società.

Diviene, dunque, leader del Movimento per la Nuova Cultura e, successivamente, dell'antimperialista e anti-tradizionalista Movimento del 4 Maggio 1919, che diede una spinta di modernità alla Cina. Fu proprio nell'ambito di tale Movimento che si formarono i principali leader di quello che diverrà il Partito Comunista Cinese.

Chen Duxiu è un democratico con influenze anarchiche e socialiste e ciò lo porterà, presto, ad abbracciare il marxismo, al quale, proprio nel 1919, aderirà.

E così, ispirato da anarchismo e socialismo, fonderà i primi Corpi della Gioventù Socialista, nel 1920 e, l'anno successivo, contribuirà all'edificazione del Partito Comunista Cinese (PCC), che nel luglio 1921 terrà il suo primo Congresso a Shanghai, con soli cinquanta aderenti, che diverranno migliaia nel corso degli Anni '20 (e che oggi ha superato i 100 milioni di iscritti).

E proprio del PCC viene eletto primo Segretario Generale, iniziando un'incessante attività di proselitismo fra i sindacati e le leghe contadine; combatte i Signori della Guerra e denuncia i Paesi imperialisti stranieri che soggiogano la Cina.

Il PCC riceve immediato aiuto da Mosca, ma Chen Duxiu non approva particolarmente le ingerenze sovietiche, che vorrebbero che il PCC lavorasse a stretto contatto con il Kuomintang, ovvero il partito della borghesia.

I desiderata di Stalin sono infatti quelli di assoggettare il PCC alla borghesia cinese, preparando così le basi per la sconfitta della rivoluzione comunista. Ciò, infatti, porterà al massacro di migliaia di militanti comunisti cinesi.

Fu così che, un PCC assoggettato a Stalin, finirà per costringere Chen Duxiu alle dimissioni, nel 1927 e, successivamente, egli finirà per esserne espulso.

Una espulsione che colpirà proprio colui il quale aveva contribuito a fondare il PCC e a lavorare per la rivoluzione proletaria, antimperialista, anti-autoritaria e anti-borghese.

In seguito sarà più volte arrestato dal Kuomintang e la sua salute inizierà ad indebolirsi.

Pur isolato da tutti, continuerà ad adoperarsi per denunciare, da marxista e leader dell'Opposizione di sinistra in Cina, l'autoritarismo di Stalin e la piega intrapresa dal PCC nel corso degli Anni '30 e '40.

Morirà povero, ma non domo, nel maggio 1942.

Solo a partire dagli Anni '80, con l'avvento del nuovo corso socialista riformista intrapreso da Deng Xiaoping, vi è stato un risveglio di interesse, in Cina, per le idee di Chen Duxiu, in particolare fra gli studenti.

Solamente a partire da allora, peraltro, si è riconosciuta la sua profonda influenza nella modernizzazione della Cina, del socialismo cinese e del PCC.

Un PCC che oggi conta oltre 100 milioni di aderenti, che è una scuola di meritocrazia al servizio della comunità e del quale non tutti possono farne parte.

Chen Duxiu è figura che, per la sua attività politica, la sua rettitudine e per i suoi anticipatori e profetici discorsi in favore delle nazioni oppresse, è di profondissima attualità, nell'ambito della Storia del Socialismo mondiale, oltre che, naturalmente, nell'ambito del socialismo con caratteristiche cinesi.

Luca Bagatin

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venerdì 25 luglio 2025

Il Nicaragua celebra i 46 anni di Rivoluzione Sandinista. Articolo di Luca Bagatin

 

Il 19 luglio scorso, in Nicaragua, si è celebrato il 46esimo anniversario della Rivoluzione Sandinista.

Alla celebrazioni erano presenti rappresentanti di Cina, Russia, Palestina, Vietnam, Venezuela, Cuba, Honduras Repubblica Popolare Democratica di Corea, Algeria, Burkina Faso, Bielorussia e Turchia.

Il Presidente sandinista Daniel Ortega ha ricordato i crimini commessi dagli USA in Nicaragua, nel corso degli Anni '80, quando la CIA addestrò i terroristi dell'estrema destra, ovvero i Contras, contro la democrazia sandinista. Egli ha altresì ricordato come il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, ancora oggi, rappresenti una alternativa all'imperialismo, al fascismo e al colonialismo, sostenga il popolo palestinese e si opponga a una Europa capitalista che si vuole riarmare.

Egli, in tal senso, ha affermato che l'ONU necessita di una rifondazione e che il mondo desidera disperatamente la pace, in modo che tutti i Paesi possano svilupparsi e porre fine alla povertà.

La Co-presidente, Rosario Murillo, nel suo discorso ha sottolineato che “Il nostro Nicaragua, Territorio Libero, Terra Gloriosa di Guerrieri della Pace, saluta con Onorevole Gioia e Sicura Speranza tutti i Popoli che ora lottano, senza arrendersi, per un altro Mondo ormai indispensabile, e le Delegazioni che li rappresentano in questo formidabile Atto di Impegno per la Liberazione e per la Vocazione Fraterna, Solidale e Condivisa, per il Bene Comune, di cui il Pianeta e l’Umanità hanno tanto bisogno”.

Particolarmente sentito il discorso di del Vice Ministro del Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC), Ma Hui, il quale, portando i saluti del Segretario del PCC, nonché Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, ha affermato che “In un mondo pieno di trasformazioni e turbolenze, i rischi e le sfide che tutti i Paesi del pianeta si trovano ad affrontare stanno crescendo. Siamo lieti di constatare che, sotto la guida del Co-Presidente Comandante Daniel Ortega e della Co-Presidente Compagna Rosario Murillo, il popolo nicaraguense, strettamente unito attorno al Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, difende con fermezza la propria sovranità e dignità nazionale e persiste nel seguire il percorso di sviluppo adattato alle realtà del proprio Paese, raggiungendo costantemente nuovi traguardi nel suo sviluppo socio-economico, per i quali esprimiamo le nostre congratulazioni”.

Il Presidente Ortega, riferendosi agli USA di Trump, ha successivamente affermato che “Sono tempi in cui l’umanità, avendo così tanti mezzi, così tanti strumenti per creare condizioni di pace, stabilità, progresso, benessere, negli stessi Stati Uniti con tutti questi migranti, e per offrire una politica di cooperazione con tutti i Paesi del mondo, e specialmente con i Paesi in Via di Sviluppo, non lo fa.

D'altra parte, la Repubblica Popolare Cinese lo fa, e quindi si arrabbiano quando la Repubblica Popolare Cinese sviluppa attività in Africa, in Asia, in America Latina. Si arrabbiano e minacciano i governi per aver accettato l'ingresso di aziende della Repubblica Popolare Cinese. Quindi, la speranza è riposta in queste potenze, come la Repubblica Popolare Cinese, che ha un atteggiamento umano, solidale e generoso, e questo naturalmente rende più facile per tutti i Paesi riceverla, e questo fa arrabbiare il governo degli Stati Uniti”.

Egli ha peraltro ricordato come la Cina socialista abbia, in questi anni, fattivamente sostenuto il Nicaragua e i suoi programmi sociali, nella costruzione di abitazioni per i meno abbienti e con la donazione di vaccini anti-Covid, di attrezzature per gli ospedali e di moderne attrezzature tecnologiche per la formazione professionale.

La Rivoluzione Sandinista in Nicaragua, trionfò il 19 luglio 1979, ponendo fine alla dittatura sanguinaria del liberal-conservatore Anastasio Somoza Garcia, sostenuto dagli USA.

Il sandinismo, come il peronismo argentino, è una corrente del socialismo, la quale favorì la partecipazione dei lavoratori all'economia nazionale, ridandogli nuova linfa vitale.

Esso fu ispirato al rivoluzionario nicaraguense Augusto Cesar Sandino (1895 - 1934), massone e teosofo, capace di coniugare valori spirituali teosofici (votati alla povertà assoluta e al sacrificio) e socialismo. Sandino fu una sorta di Giuseppe Garibaldi nicaraguense, il quale fu il primo che, nel 1927, si ribellò all'occupazione statunitense del Nicaragua, sotto la presidenza di Franklin Delano Roosevelt, infliggendo numerose sconfitte agli USA ed ai loro marines, pur senza riuscire a liberare il Paese.

L'ideologia sandinista fu ripresa nel 1962 dal dirigente del FSLN Carlo Fonseca Amador (1936 - 1976), oppositore di quel dittatore Somoza che fu l'uomo di riferimento di Roosevelt in Nicaragua e da Roosevelt stesso considerato “il nostro figlio di puttana”. Quel Somoza che, nel 1934, fece assassinare Sandino, dando vita a una lunga dittatura, che durò dal 1936 al 1979.

La piattaforma del sandinismo, ovvero del FSLN, era votata alla lotta armata alla dittatura sostenuta dall'imperialismo statunitense e, dunque, alla liberazione del Paese dall'oppressore ed all'instaurazione del socialismo non materialista in un contesto capitalista.

Fu solo nel luglio 1979 che i sandinisti, guidati, fra gli altri, da un giovane Daniel Ortega e sostenuti dall'esterno da Cuba, dal Messico, dai Paesi del Patto di Varsavia e dalla Libia socialista di Gheddafi, sconfissero e fecero fuggire Somoza, dando vita a un governo provvisorio, capace di coniugare valori democratici, spirituali, teosofici, cristiani, marxisti e socialisti.

50.000 i morti nicaraguensi nel conflitto. 120.000 quelli fuggiti nei Paesi limitrofi.

Il nuovo governo sandinista riuscì a risollevare le sorti del Paese e a garantire quei diritti umani prima negati, ricevendo l'appoggio persino di parte della Chiesa cattolica (quella che diventerà la corrente denominata “Chiesa dei Poveri” e della cosiddetta “teologia della liberazione”). Si pensi che persino dei sacerdoti furono chiamati a ricoprire la carica di Ministro del nuovo governo sandinista.

Fra le prime riforme, l'abolizione della pena di morte; l'introduzione dello Statuto dei diritti e garanzie dei nicaraguensi; fu sancita l'uguaglianza di tutti i cittadini, la libertà religiosa e di coscienza e di organizzazione politica. Sul piano economico vennero confiscati i beni della famiglia del dittatore Somoza e dei suoi complici; fu nazionalizzato il sistema del commercio con l'estero e quello finanziario; fu sancito il controllo statale sulle risorse naturali; furono ridotti gli affitti, creato un fondo contro la disoccupazione e introdotta una riforma agraria, con la redistribuzione dei terreni ai contadini.

Sul piano dell'istruzione fu dichiarata gratuita l'istruzione universitaria e il processo di alfabetizzazione portò a una riduzione dell'analfabetismo dal 50% al 12%.

Nel 1983 il Nicaragua fu dichiarato, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, un Paese modello nella salute.

Nel corso degli Anni '80, gli USA di Reagan tornarono a interferire nella politica del Nicaragua, finanziando i summenzionati Contras, ovvero i gruppi armati controrivoluzionari, i quali compirono numerosi attacchi contro ospedali, chiese, fattorie e massacrando la popolazione civile. Tale situazione terminò solo nel 1988, con la dichiarazione del “cessate il fuoco” fra Contras e governo sandinista.

Solo nel 1990 il FSLN fu sconfitto alle elezioni e subì una battuta d'arresto, portando al potere la liberal conservatrice Violeta Chamorro, sostenuta dagli USA, la quale avviò riforme liberiste che riportarono indietro il Paese e a nuove diseguaglianze.

Solo nel 2006, guidati da Daniel Ortega, il quale fu peraltro un grande amico del nostro Presidente del Consiglio socialista Bettino Craxi, che molto si spese per la causa sandinista, i sandinisti ripresero la guida del Paese e sconfissero definitivamente i liberali.

Ancora oggi il governo è guidato dal FSLN di Ortega e della moglie Rosario Murillo, i quali godono di un consenso di oltre il 70% dei voti.

Il Nicaragua mantiene, in politica estera, ottimi rapporti con tutti i Paesi latinoamericani e le correnti del Socialismo del XXI Secolo; in politica interna ha fatto scendere il tasso di povertà dal 42,5% al 30% fra il 2009 al 2014 ed è passato – fra il 2007 e il 2016 – dal 25% al 52% di utilizzo di energie rinnovabili.

Luca Bagatin

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giovedì 24 luglio 2025

Cina-Ue, 50 anni di relazioni diplomatiche. Il ruolo dell’Italia? Scarso, nonostante Marco Polo. L'opinione del prof. Giancarlo Elia Valori

 

“Il ruolo dell’Italia all’interno del dialogo tra Bruxelles e Pechino penso sia inferiore a quello di altri Paesi dell’Unione Europea”. Ad affermarlo è l’illustre economista e manager italiano, grande esperto di geopolitica e relazioni internazionali, Giancarlo Elia Valori, intervistato in occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Cina e Unione Europea. Eppure, secondo Valori,  “i due Paesi avrebbero ancora un grande potenziale di cooperazione nella tecnologia di protezione ecologica e in altri aspetti, e l’Italia continuerebbe a svolgere un ruolo nel promuovere gli scambi culturali e la cooperazione scientifica e tecnologica tra la Repubblica Popolare della Cina e i Paesi europei”.

  1. Quest’anno si celebrano i 50 anni delle relazioni diplomatiche tra Cina e Unione Europea. Professore Valori come giudica l’evoluzione di questo rapporto e quali ne sono, secondo Lei, gli snodi più significativi?
    Sì, ufficialmente sono cinquant’anni, ma in realtà le relazioni fra la Cina e la Penisola italiana sono plurisecolari. A questo proposito voglio innanzitutto ricordare l’episodio di quando il veneziano Marco Polo fu catturato dai genovesi e dettò al pisano Amedeo Rustico, detto Rustichello, il ben noto Milione. Lo stesso Marco Polo che nel suo ultimo viaggio dalla Cina verso Occidente accompagnò la giovane principessa mongola Kukjin, attraverso l’intera Asia fino alla Persia, nel 1293, per portarla al suo promesso sposo l’ilkhan di Persia, il mongolo Arghun; Arghun morì tuttavia prima che il lungo viaggio di Kukjin avesse termine, e la principessa finì con lo sposare il figlio ed erede di Arghun, il giovane Ghazan. Oggi la Repubblica Popolare della Cina e l’Italia hanno di storicamente e culturalmente tanto da apprendere in modo reciproco, ma politicamente cosa?
  2. Qual è oggi, a Suo avviso, il ruolo dell’Italia all’interno di questo dialogo tra Bruxelles e Pechino? Esiste spazio per una diplomazia culturale ed economica autonoma e costruttiva?
    Il ruolo dell’Italia all’interno del dialogo tra Bruxelles e Pechino penso sia inferiore a quello di altri Paesi dell’Unione Europea. Il recesso di Roma dalla Belt and Road Inititiative io non direi abbia a che fare o a che vedere con una sorta d’incertezza o indecisione del Governo Meloni, in quanto l’esecutivo italiano non è altro che una delle manifestazioni europee dell’emanazione d’Oltretlantico rivolta alla sua mera espressione/estensione geografica in odore di protettorato: ed è solo questa una certezza.
    Perciò che vi posso dire quando si vede che l’Italia è l’unico Paese del G7 che si è tolta dalla BRI? Essa, in un primo momento ha voluto essere presente in quanto allora credeva di agire in modo indipendente, ma poi si è ricreduta indotta da spinte più potenti della capacità di resistere a pressioni esterne.
    Considerando le origini di estrema destra dei vertici del governo italiano, esso stranamente è al servizio di chi ha distrutto il fascismo nel mio Paese, mentre l’Unione Sovietica – allora unico Paese socialista – non ebbe alcuna influenza nel rovesciarlo esternamente prima nel 1943 e poi nemmeno internamente nel 1945. Un paradosso che in seguito ha visto uno statunitense, quale Henry Kissinger, amico della Repubblica Popolare della Cina, e l’esecutivo dell’Italia di Marco Polo contrario a Pechino. Tutto questo è davvero tragicamente ridicolo!
    Inoltre, a mio parere, è presente paura fisica per eventuali decisioni contrarie agli ordini della Casa Bianca, come tragicamente è avvenuto in passato. Al contempo chi ci rimetterà sono, al solito, gli imprenditori italiani che stavano beneficiando della BRI, e avrebbero voluto continuare questo rapporto win-win; in pratica a perdere è l’intera Italia.
    Non va comunque dimenticato che i workshop organizzati dalla Camera di Commercio di Roma e dalla Fondazione di Studi Internazionali e Geopolitica, il 9 aprile e il 24 ottobre 2024, hanno visto la cooperazione scientifica e tecnologica sino-italiana, superare alcune interferenze negative nate da coloro che si oppongono allo sviluppo delle relazioni Italia-RP della Cina. Tuttavia, con la promozione del partenariato strategico globale tra le due parti, i due Paesi avrebbero ancora un grande potenziale di cooperazione nella tecnologia di protezione ecologica e in altri aspetti, e l’Italia continuerebbe a svolgere un ruolo nel promuovere gli scambi culturali e la cooperazione scientifica e tecnologica tra la Repubblica Popolare della Cina e i Paesi europei.
  3. La Cina ha investito molto nel soft power e nel dialogo con i Paesi europei, anche sul piano accademico, culturale e mediatico. Quali sono, secondo Lei, le chiavi per superare i pregiudizi reciproci e rafforzare una comprensione autentica tra civiltà?
    In Europa, in Occidente in genere, anche in quello “allargato” (Giappone + Australia + Nuova Zelanda) sicuramente per il complesso di superiorità e presunzione non si vuol affrontare dialogo alcuno che non rientri nello schema: «Io parlo e tu ascolti solamente, siccome io sono il depositario della Verità Liberale». Però l’appello al dialogo che la Repubblica Popolare della Cina rivolge, è ascoltato dai Paesi in via di sviluppo. Per questa ragione i principi generali e gli obiettivi della politica cinese verso i Paesi, che una volta si chiamavano del Terzo Mondo, poggiano soprattutto sulla definizione di un partenariato strategico, sull’uguaglianza politica e sulla cooperazione economica di tipo paritario. Essi si fondano sul rispetto degli interessi di tutti questi Paesi e in cui ogni parte risulta beneficiaria della collaborazione. Nel fornire assistenza e collaborazione paritaria a Stati esteri, la Repubblica Popolare della Cina rispetta sempre la sovranità dei Paesi beneficiari, non pone vincoli di sorta e persegue risultati vantaggiosi per tutti. L’assistenza cinese ha portato benefici reali ai Paesi in via di sviluppo interessati e ha ricevuto il loro plauso e apprezzamento. E la Belt and Road Initiative è uno dei grandi passi cinesi in tal senso. Per cui, le chiavi per superare i pregiudizi reciproci e rafforzare una comprensione autentica tra civiltà sia del Nord che del Sud del mondo, risiedono unicamente in una presa di coscienza da parte dei vari “Occidenti” nel rendersi autonomi o – per meglio dire – indipendenti da certi modelli di asservimenti e sistemi di produzione imposti all’ìndomani della fine della II Guerra Mondiale e oggi ritortisi contro con i ben noti dazi.
  4. Guardando al futuro, quali ambiti ritiene strategici per una nuova fase delle relazioni Cina–UE? E quali sfide comuni richiederanno, a Suo avviso, una collaborazione più stretta tra le due realtà?
    Questa sulle sfide è una domanda molto semplice, ma a cui è necessario dare una risposta di certo non politicamente corretta ma scomoda, per cui pesante da digerire da parte di “padri” e “madri” della democrazia liberale. Ricordo una frase in un libro del 2021. La pace e la stabilità non sono state di certo assicurate dall’Europa: sono stati la Casa Bianca ed il Cremlino a farlo in parte nel nostro Continente, esportando la II Guerra dei Trent’Anni (1914-1945) per procura negli ex imperi coloniali di Belgio, Francia, Gran Bretagna, Italia, Portogallo e Spagna. E poi nel nostro Continente, ricordiamo le guerre-massacri balcanici 1990-1999; guerre in Ossezia (1992 e 2008); guerre in Cecenia (1994-96, 1999), i conflitti armati religiosi in Irlanda del Nord e civili in Spagna; la divisione “coreana” fra Cipro del Nord e Cipro (quest’ultima riconosciuta all’ONU); l’Europa divisa a metà fra un Ovest ai vertici del Primo Mondo ed un Est che si fa fatica a non chiamarlo Terzo; il problema delle centrali nucleari ex sovietiche obsolete ed in continuo allarme giallo (Lecce è più vicina agli ex territori della defunta URSS che a Milano); sono forse questioni afro-asiatiche e non europee?
    Le necessità dell’industria bellica hanno compreso – dopo tre secoli dalla I Guerra dei Trent’Anni (1618-48) – che era da stupidi suicidi dilaniarci in casa, ma opportuno spostare in trasferta le conflittualità e portare in una parte degli “Occidenti” i profitti. La stessa guerra in Ucraina, è stata vantaggiosa per gli “Occidenti” in modo da poter vendere armi e già da oggi – a guerra non finita – parlare d’investimenti per la ricostruzione.
    Me lo dica Lei – stando questi presupposti – quale collaborazione più stretta ci possa essere fra un’Europa imbelle, immobile, impotente e degli affari, e una Repubblica Popolare della Cina speranzosa di un futuro di benessere condiviso dell’umanità su argomenti quali pace, sicurezza sanitaria e nuovo ordine economico mondiale.

Diario di un piduista. Articolo di Luca Bagatin dell'ottobre 2011

Nel ricordare la memoria dell'amico fraterno Umberto Granati, vorrei qui di seguito ripubblicare un articolo che scrissi nell'ottobre 2011, che è riportato anche nel mio primo saggio “Universo Massonico”, Bastogi Editrice Italiana, con prefazione del prof. Luigi Pruneti, pubblicato nel dicembre 2012

Luca Bagatin 

Il Colonnello Umberto Granati fu il primo che, allo scoccare del presunto "scandalo P2", nel maggio 1981, dichiarò di essere affiliato a tale Loggia massonica del Grande Oriente d'Italia.
La P2 era infatti una Loggia regolare e per nulla segreta - come invece millantò certa stampa - ideata, come rivela lo stesso Granati, dall'Eroe dei due Mondi Giuseppe Garibaldi e fondata ufficialmente dal Gran Maestro garibaldino Giuseppe Mazzoni nel 1877 al fine di raccogliere personalità di prestigio del mondo della cultura, della politica, della magistratura, delle forze armate, che desideravano mantenere riservata la loro appartenenza all'Ordine liberomuratorio.
Dov'era lo scandalo ? Lo volle sapere lo stesso Col. Granati, il quale non solo informò i suoi superiori della sua appartenenza alla P2, ma persino i Carabinieri.
Fu un fesso ? No, semplicemente un uomo onesto, un Servitore dello Stato, che si rifiutava di dichiarare il falso, come invece furono invitati molto suoi Fratelli di Loggia a fare.
Tutto questo e molto altro è raccontato dallo stesso Umberto Granati - oggi ottantaduenne e Generale di Corpo d'Armata in pensione - nel suo libro: "28 anni dopo: diario di un Piduista", edito dalla casa editrice indipendente Ipertesto Edizioni (www.iperedizioni.it).
Granati era animato da ideali massonici, spirituali e filosofici e si iscrisse alla P2 e dunque alla Massoneria. Non ne poteva trarre vantaggi per il semplice fatto che, nel 1977, data della sua iscrizione, aveva una carriera già ben avviata che si sarebbe conclusa comunque con una promozione pochi anni dopo.
Che cosa ne ricavò, invece? Nulla, solo guai personali e giudiziari che lo porteranno, come i pochi suoi Fratelli che avevano dichiarato l'appartenenza alla P2 (fra questi lo scrittore e regista Pier Carpi, che sarà emarginato dal mondo letterario ed artistico sino a morire in miseria) all'emarginazione. Per quanto nessuno gli abbia mai attribuito alcun reato.
La P2, come documentato dallo stesso Umberto Granati nel suo libro - ma già anni prima dai saggi di Pier Carpi ("Il caso Gelli: la verità sulla Loggia P2" del 1988 e "Il Venerabile" del 1993) e del prof. Aldo A. Mola ("Gelli e la P2 fra cronaca a storia" del 2008) - divenne il capro espiatorio del malaffare di gran parte delle forze politiche di allora (in particolare le due forze del "compromesso storico"), le quali montarono ad arte la famosa "teoria cospirazionista ai danni dello Stato", istituendo addirittura una costosissima ed inutile Commissione Parlamentare d'Inchiesta presieduta da Tina Anselmi e che si concluse con nulla di fatto e con l'assoluzione piena di tutti i cosiddetti "piduisti" per mezzo delle sentenze della Corte d'Assise di Roma che fra il '94 ed il '96, assolsero sia la P2 dalle accuse di "complotto ai danni dello Stato" che lo stesso Venerabile della Loggia, Licio Gelli, per le innumerevoli accuse attribuitegli.
Umberto Granati racconterà la sua vicenda pubblicamente sul Corriere di Siena nel 1987 con degli articoli a puntate dal titolo: "Storia di un piduista". Una vicenda che nel suo recente saggio-documento riprende per intero e non risparmia accuse, non solo al mondo politico di allora, a certi mass media ed a certi settori della magistratura, ma anche allo stesso Licio Gelli, il quale non fece nulla per difendere gli affiliati alla sua Loggia, ma scappò all'estero.
Umberto Granati è infatti convinto che, se tutti i membri della Loggia fossero usciti allo scoperto come aveva subito fatto lui, il caso si sarebbe sgonfiato da solo.
Come potevano, infatti, personalità diversissime fra loro e che non si erano nemmeno mai riunite (fra cui il cantante Claudio Villa e l'eroe della lotta al terrorismo ed alla mafia Carlo Alberto Dalla Chiesa), complottare contro lo Stato ?
Altra cosa di cui il Granati è convinto è che il famoso elenco dei "piduisti", diffuso dalla stampa e da internet sia incompleto. Non solo molti dei nomi degli affiliati mancherebbero all'appello, ma persino molti di quelli contenuti nell'elenco sarebbero persone completamente estranee alla vicenda. Persone estranee che, ad ogni modo, ancora oggi vengono ingiustamente additate come "delinquenti e stragisti".
Umberto Granati parla senza reticenze e raccontando una vicenda senza aver nulla né da perdere né da guadagnare, anzi.
Racconta ad esempio di quando fu oggetto di insulti e minacce telefoniche da parte di uno sconosciuto che, solo perché componente della P2, lo riteneva un criminale.
Il Colonnello Granati fu insignito nel 1985 dell'Onorificenza dell'Ordine di Giordano Bruno da parte del Grande Oriente d'Italia ed è oggi Generale di Corpo d'Armata in pensione. Da diversi anni è dedito al giornalismo ed alla redazione di guide turistiche. Nel suo libro racconta di come fu emarginato nel suo ambiente di militare, senza capirne il perché e di come fu ostacolato, assieme a sua moglie, persino nella sua umile attività di giornalista di riviste turistiche.
Di che cosa era infatti accusato lui, che non aveva mai mentito in vita sua e la cui carriera era immacolata ?
Come mai ancora oggi la P2 ed i "piduisti" fra i quali, come dice lo stesso Granati, ci saranno anche state delle pecore nere, ma per il resto erano galantuomini, sono considerati il male assoluto ?
A chi giova tutto ciò ?
Possibile che il Generale Granati, uscitone completamente pulito come molti suoi pari, debba ancora vedere diffuso il suo nome sulla stampa e sul web, come se fosse un pericoloso criminale ?
"28 anni dopo: diario di un Piduista" è un documento prezioso e che getta nuova luce sul caso P2, forse ponendo finalmente la parola fine alla questione e riabilitando degli uomini onesti che hanno pagato la loro appartenenza ad una Loggia massonica regolare.

Luca Bagatin

www.lucabagatin.ilcannocchiale.it


Umberto Granati 

Luca Bagatin e Umberto Granati nel dicembre 2013
Dedica di Umberto Granati a Luca Bagatin