mercoledì 30 aprile 2025
martedì 29 aprile 2025
Lula e Assange in Vaticano, per Papa Francesco, il Papa dell'Amore. Socialismo (Amore) e Libertà
lunedì 28 aprile 2025
Noonomia, ovvero la nuova società industriale a beneficio della comunità, spiegata dagli economisti Bodrunov e Kvint. Articolo di Luca Bagatin
Sergey Bodrunov, classe 1958, è un noto economista russo, professore universitario, membro dell'Accademia Russa delle Scienze, Presidente della Libera Società Economica della Russia.
Oltre che ideatore della teoria economica definita “Noonomia” o “Nsi 2”, ovvero “nuova società industriale di seconda generazione”.
Di questo abbiamo, peraltro, già parlato in un altro articolo, riferendoci all'omonimo saggio - “Noonomia”, appunto – edito da Bodrunov in Italia per la Sandro Teti Editore.
Il prof. Bodrunov, sempre per la Sandro Teti e assieme al prof. Vladimir Kvint (economista russo-statunitense, già professore di strategia, gestione e economia internazionale presso la Fordham University, la New York University e il Babson College, oltre che essere Presidente del Dipartimento di strategia economica e finanziaria presso la Scuola di economia di Mosca), ha pubblicato anche un ulteriore saggio in merito.
Con “Strategizzare le trasformazioni sociali: noonomia sapere tecnologia”, Bodrunov e Kvint si concentrano sugli obiettivi e sugli strumenti economici e strategici, promuovendo un sistema fondato su una forma di pianificazione e di economia di mercato, volta a promuovere lo sviluppo di un solido sistema di welfare, richiamando – peraltro - le esperienze positive socio-economiche della Cina e dei Paesi scandinavi.
Nel seggio si richiamano i concetti di “Nsi 2”, noonomia e nooproduzione.
Ovvero si parla di una società fondata su un nuovo sviluppo della produzione industriale materiale, caratterizzata dal passaggio verso prodotti ad alto contenuto di conoscenza, integrando produzione, scienza e istruzione.
La nooproduzione, come spiegato da Bodrunov e Kvint, è una forma di produzione che riduce al minimo la partecipazione diretta del lavoratore e si concentra sul soddisfacimento dei noobisogni, dando dunque spazio al progresso umano, nell'ambito della conoscenza e della cultura.
L'obiettivo della nooproduzione è, infatti, il progresso dell'individuo e non lo sfruttamento del lavoro in quanto tale.
Ovvero nello sviluppo delle qualità/conoscenze umane, promuovendo i valori culturali. Accrescendo, dunque, anziché bisogni simulati (indotti dalla pubblicità commerciale e dal marketing, ovvero superflui e consumistici), bisogni spirituali e culturali.
Ciò determinerà, automaticamente, una riduzione o autolimitazione dei consumi superflui/tangibili/materiali e, dunque, non solo la fine dello sfruttamento del lavoro in quanto tale, ma anche un minor impatto sull'ambiente e, dunque, sull'ecosistema.
Evitando, dunque, anche quel processo di accumulazione di beni materiali superflui che, spesso, è più una necessità psicologica che reale.
La nooproduzione è, quindi, destinata ad ampliare il tempo libero degli individui. Tempo che potrebbe, finalmente, essere impiegato per attività più stimolanti e creative, ovvero volte a quello che gli Autori definiscono “autosviluppo”.
Ovvero allo sviluppo, appunto, delle proprie qualità e conoscenze.
Un processo di questo tipo, secondo gli Autori, cambierebbe completamente il paradigma consumistico al quale siamo abituati. Attualmente, infatti, nel sistema capitalista, il tempo libero è volto al consumo, all'accumulo di beni materiali e al produrne di nuovi. In una spirale di sfruttamento del lavoro, del capitale e del salario, senza fine.
Nel modello Nsi 2, “l'essere umano ha l'opportunità di agire non come consumatore dissennato, ma come individuo creativo, poiché l'uso creativo del tempo libero dipende in larga misura dalla formazione dei presupposti materiali per l'attività creativa (accesso ai mezzi di autoeducazione, miglioramento fisico, creatività scientifica e artistica eccetera)”, puntualizzano gli Autori.
Utilizzo delle nuove tecnologie; sviluppo – attraverso lo studio e l'ampliamento della conoscenza – di nuove tecnologie; pianificazione economica; strategizzazione dei processi economici, sono, dunque, le chiavi del nuovo modello di sviluppo chiamato noonomia.
Un modello volto a superare e arginare il capitalismo finanziario, che genera squilibri economici e diseguaglianze. Al fine di soddisfare i bisogni reali (e dunque non quelli simulati, ovvero promossi dal marketing, per accrescere il capitale dei gruppi industriali che li stimolano) delle persone.
Gli Autori sottolineano, nel saggio, come sia il capitale finanziario a dettare l'agenda politica dei governi e delle varie forze politiche. Ne conseguono guerre commerciali, sanzioni antidemocratiche e unidirezionali e così via.
E, attualmente, il progresso tecnologico è messo al servizio del capitale finanziario (creando sempre nuovi bisogni simulati, soddisfacendoli immediatamente) e non di un nuovo modello di economico, volto a beneficio delle persone e del loro sviluppo individuale, come invece potrebbe accadere nella Nsi 2.
E', dunque, il capitale finanziario che, per collocare i suoi infiniti prodotti volti a soddisfare bisogni indotti/simulati, distrugge l'ecosistema; induce al consumismo; sfrutta sempre più il lavoro; modifica l'atteggiamento degli individui stessi (promuovendo fenomeni della cultura di massa che non sono affatto importanti per lo sviluppo umano/culturale delle persone).
Tutto questo è spiegato ottimamente nel saggio di Bodrunov e Kvint.
Come è sottolineato il concetto di noonomia, già trattato nell'altro saggio, ovvero “metodo non economico di organizzare l'attività economica, orientato al soddisfacimento di bisogni umani concreti sulla base di criteri di ragionevolezza determinati dallo sviluppo della conoscenza e della cultura”.
Concetti, teorie, intuizioni geniali e di scottante attualità e destinate a far discutere e ad essere discusse. In un mondo che cambia e che dovrebbe evolversi in senso cooperativo, inclusivo, al servizio delle persone e non dell'economia in quanto tale.
Luca Bagatin
domenica 27 aprile 2025
A 70 anni dalla Conferenza di Bandung il Sud del mondo è più vivo che mai e lotta ancora per un mondo più equo e giusto. Articolo di Luca Bagatin
In questi giorni ricorre il 70esimo anniversario della Conferenza di Bandung, storico avvenimento che riunì, per la prima volta, il cosiddetto Sud del mondo e che si tenne dal 18 al 25 aprile 1955, a Bandung, appunto, in Indonesia.
Conferenza che vide protagonisti e promotori, in particolare, il Premier cinese Zhou Enlai, quello indiano Nehru, Presidente indonesiano Sukarno, quello jugoslavo Tito e il Premier egiziano Nasser e che fu incoraggiata moltissimo dal sociologo, saggista, massone e attivista panafricano William Edward Burghardt Du Bois (1869 – 1963), molto amico di Mao Tse-Tung, oltre che membro del Partito Laburista Americano (ottenne il 4% dei consensi candidandosi alla carica di Senatore, nello Stato di New York) e successivamente, da anziano, aderente al Partito Comunista degli Stati Uniti d'America, pur sempre critico nei confronti dell'URSS, ma fervente sostenitore del ruolo terzomondista della Cina socialista.
A Du Bois fu, purtroppo, antidemocraticamente impedito, dal maccartista e anti-socialista governo USA, di partecipare alla Conferenza di Bandung, che permise il dialogo fra i Paesi Non Allineati (in gran parte a guida socialista come la Cina, la Jugoslavia, l'Egitto e l'India), gettando le basi per l’unione di quel Sud del mondo sfruttato dalla colonizzazione e dagli imperialismi dei blocchi contrapposti USA-URSS
Qualche anno dopo, peraltro, nel 1959, Du Bois tenne una conferenza presso l’Università di Pechino, in cui sostenne il miglioramento dei legami fra le comunità afroamericane statunitensi e la Cina. E sostenendo che l’Africa e la Cina avrebbero dovuto camminare assieme, unite entrambe dalla lotta al colonialismo e allo sfruttamento.
Nel novembre 2023, un importante manager e analista geopolitico quale il prof. Giancarlo Elia Valori, in un articolo pubblicato anche dal Nuovo Giornale Nazionale, dal titolo “La Cina e il mondo contemporaneo” (https://www.nuovogiornalenazionale.com/index.php/estero/politica-internazionale/14579-la-cina-e-il-mondo-contemporaneo.html), scriveva, a proposito della Conferenza di Bandung e dell'approccio socialista cinese, rispetto a quello occidentale liberale: “Oggi, lo ripetiamo, la differenza più significativa è tra la prospettiva internazionale cinese e quella liberale occidentale. Il socialismo in sé ha contenuti ideologici, storici, e tradizionali di integrazione ed è dedicato alla ricerca della cooperazione e della liberazione di tutti i popoli secondo i cinque principi della Conferenza di Bandung (18-24 aprile 1955), sui quali la Repubblica Popolare della Cina ha sempre basato la sua politica estera con coerenza:
i) rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale;
ii) non-aggressione reciproca;
iii) non interferenza reciproca negli affari interni di ciascuno;
iv) uguaglianza e reciproco beneficio;
v) coesistenza pacifica.
La prospettiva liberale, invece, persegue la globalizzazione in superficie, ma in realtà essa è guidata dai Paesi liberal-capitalisti occidentali al servizio dei loro interessi e delle proprie multinazionali. Al momento, i Paesi occidentali sviluppati a coda degli Stati Uniti d’America stanno apparendo come una forza antiglobalizzazione, il motivo è che scoprono che la globalizzazione si discosta sempre più dai desideri di colui che li domina”.
Nel ricordo di tale importante Conferenza, nei giorni scorsi, il Presidente cinese Xi Jinping ha visitato Vietnam, Malesia e Cambogia. Rafforzando i legami sia di amicizia che di mutua collaborazione economica, con queste importanti realtà del Sud-Est asiatico, nel solco dell'equità, della giustizia, del multilateralismo e della lotta all'unipolarismo statunitense, ideologico e volto a danneggiare l'economia mondiale e a rendere il mondo meno stabile e sicuro.
Vietnam, Malesia e Cambogia attribuiscono, peraltro, grande importanza al ruolo dei BRICS. La Malesia ne è già Paese partner, mentre il Vietnam ha richiesto formale adesione.
Il Sud del mondo è più vivo che mai e lotta per un mondo più unito, stabile, pacifico e votato alla cooperazione.
Luca Bagatin
venerdì 25 aprile 2025
Anche questo 25 Aprile ricordiamo loro, Randolfo Pacciardi e Mario Bergamo, antifascisti della prima ora, Eroi e rivoluzionari mazziniani e garibaldini. Articolo di Luca Bagatin
Randolfo Pacciardi (1899 – 1991) fu un combattente, un eroe, un antitotalitarista e proprio per questo la sua storia, fu, molto probabilmente, volutamente rimossa dalla memoria di quell'Italia che egli tentò, a rischio della vita, di edificare.
In nome di Mazzini e di Garibaldi fu audace eroe antifascista della Guerra di Spagna, al comando del Battaglione Garibaldi, nonché fu fiero anticomunista, specie dopo aver conosciuto i massacri contro i repubblicani, i socialisti e gli anarchici operati dai comunisti europei su ordine di Stalin.
Guidò il PRI nel primo dopoguerra e fu Ministro della Difesa dal 1948 al 1953.
Estraneo alla cultura liberaldemocratica, si oppose alla formula di Centro-Sinistra e quindi a Ugo La Malfa, che purtroppo lo espulse dal partito negli anni '60.
Espulso dal PRI, Pacciardi fondò – nel 1964 - il movimento politico Unione Democratica per la Nuova Repubblica, con posizioni nettamente presidenzialiste e solo per questo fu sospettato ingiustamente di simpatia fasciste e golpiste (proprio lui che aveva combattuto il nazifascismo!) e di aver appoggiato il cosiddetto Piano Solo, che avrebbe dovuto portare ad una svolta autoritaria nel Paese.
Niente di più falso e vergognoso fu detto su di un personaggio al quale la Repubblica e la democrazia italiana devono moltissimo. Se solo parlassimo di una vera Repubblica, democratica e fondata su principi mazziniani e garibaldini.
L'idea pacciardiana di Repubbica presidenziale, ispirata a Charles De Gaulle, prefigurava un Presidente eletto e sganciato dal parlamento partitocratico, tendendo così verso una democrazia partecipativa, nel solco di Giuseppe Mazzini.
Così come nel solco di Mazzini saranno le sue idee politiche e sociali, costituite dall'unione fra capitale e lavoro nelle stesse mani, fondamento di una Repubblica che avrebbe dovuto essere contraria ad ogni mentalità parlamentaristica, fondata sugli interessi di retrobottega dei partiti e sulle lobby economiche che li sostengono.
Questi i fondamenti ideali di quella Unione Democratica per la Nuova Repubblica (il cui nome derivava dal partito gollista Unione per la Nuova Repubblica) che ispirò – nel 1969 - finanche il movimento giovanile di derivazione nazionalcomunista Lotta di Popolo, che ebbe, fra i suoi riferimenti ideali e culturali, oltre che Pacciardi, anche Che Guevara, Juan Domingo Peron, Jack Kerouac, Julius Evola e Pierre-Joseph Proudhon.
Quella pacciardiana fu un'idea e una prospettiva, sia istituzionale che sociale, ispirata a quello che potrebbe essere definito “socialismo mazziniano”, retto da tre pilastri: federalismo sociale, associazionismo volontario (o cooperativismo) e democrazia diretta.
Aspetti peraltro condivisi e portati avanti dall'altro contemporaneo compagno di partito, Mario Bergamo (1892 – 1963), la cui vicenda politica merita, parimenti, di essere ricordata e onorata, perché con Pacciardi ha innumerevoli punti in comune.
Trevigiano, antifascista, repubblicano della prima ora, anche Mario Bergamo subirà la medesima sorte di Pacciardi, ovvero l'oblio politico a causa delle sue idee saldamente mazziniane e garibaldine.
Mario Bergamo fu fondatore, nel 1912, a Bologna – a soli vent'anni – dell'Alleanza Universitaria Repubblicana. Successivamente fu capostipite della corrente di sinistra del PRI, denominata “Repubblica Sociale”, la quale mirava a recuperare l'ideale autogestionario e cooperativista di Giuseppe Mazzini.
Fervido sostenitore, anche negli organi di stampa, dell'impresa di Fiume di Gabriele D'Annunzio e Alceste De Ambriis, oltre che del cooperativismo, nel 1919, fonderà, assieme all'allora repubblicano Pietro Nenni, al fratello Guido e al socialista Arpinati, il Fascio di combattimento di Bologna, abbandonandolo poco dopo nel momento in cui le idee squadriste e violente di Mussolini presero il sopravvento. Egli stesso ricevette le percosse dei fascisti e il suo studio fu più volte devastato.
Fu eletto, nel 1924, nelle file del Partito Repubblicano Italiano e, dalle colonne de “La Voce Repubblicana”, divenne uno dei più acerrimi oppositori al fascismo mussoliniano e propose la costituzione di un partito repubblicano-socialista, in grado di raccogliere le migliori forze antifasciste.
Nel 1926, accusato dell'attentato contro Mussolini, fu costretto a fuggire, assieme a Nenni, prima a Lugano e successivamente a Parigi, contribuendo alla costituzione della Concentrazione antifascista, ponendo ad ogni modo come primo obiettivo l'abolizione della monarchia e la nascita della Repubblica.
Nel 1928 propugnò l'idea di costituire un'Internazionale Repubblicana e, in quell'anno, elaborò la sua teoria sul Nazionalcomunismo, che molti punti aveva in comune sia con l'esperienza dannunziana di Fiume che con il Nazionalbolscevismo promosso dall'ex socialdemocratico tedesco Ernst Niekisch e Karl Otto Paetel, i primi a combattere – in Germania – il nascente nazismo hitleriano e a subirne le persecuzioni.
Il Nazionalcomunismo, termine ideato dallo stesso Bergamo, non era altro che un recupero del repubblicanesimo mazziniano originario e degli ideali della Prima Internazionale dei Lavoratori del 1864, fuso con il nascente Bolscevismo sovietico e gli ideali patriottici. Una fusione, in sostanza, fra il nazionale e l'internazionale, che avrebbe dovuto portare alla nascita di una Repubblica Sociale.
Non sappiamo se Bergamo – che sempre si definì un “socialista mazziniano” - abbia avuto rapporti, anche epistolari, con Niekisch o avesse attinto alle sue pubblicazioni (al giornale Widerstand ad esempio), ad ogni modo, anche il Nazionalbolscevismo, negli stessi anni, voleva fondere gli ideali leninisti con quelli nazionali e patriottici, in opposizione al capitalismo, al liberalismo, all'antisemitismo dei regimi totalitari nazifascisti, proponendo un radicale rinnovamento sociale di stampo repubblicano.
Negli Anni '30, Mario Bergamo, editò la rivista “I nuovissimi annunci”, ove elaborò e diffuse le sue teorie socio-politiche e, nel 1935, a Parigi, diede alle stampe “Un italiano ribelle” (Un italien révolté), raccolta di epistole a personalità europee nelle quali egli condannava la politica coloniale fascista in Etiopia e l'ipocrisia della Società delle Nazioni.
Sul finire degli Anni '30, aderirà alla Lega dei combattenti per la pace e, allorquando i nazisti occuperanno la Francia, sarà attivo nell'aiuto ad ebrei e antifascisti.
Mussolini, comunque affascinato dai suoi ideali, gli proporrà più volte di tornare in patria, ma Bergamo sempre rifiuterà. Così come rifiuterà di partecipare alla redazione della costituzione della Repubblica Sociale Italiana nel 1943. Il suo rifiuto del fascismo e l'opposizione allo stesso furono sempre totali e intransigenti.
Mario Bergamo, peraltro, si rifiuterà di tornare in Italia anche alla fine della guerra, ritenendo che la nuova Repubblica non avesse imparato nulla dalle tristi vicende del fascismo e non rispecchiasse affatto l'idea di Repubblica popolare e socialista propugnata da Mazzini e Garibaldi.
Diverrà, successivamente, consigliere legale dell'editore socialista e garibaldino Cino Del Duca, il quale pubblicherà, nel 1965, postumo, il saggio “Nazionalcomunismo”, che raccoglierà gli ideali socialisti e repubblicani del Bergamo.
Mario Bergamo morirà a Parigi nel maggio 1963.
Il figlio di Mario Bergamo, Giorgio Mario, sarà peraltro e non a caso, uno dei collaboratori del giornale “Nuova Repubblica”, organo del partito di Pacciardi.
Decenni dopo la morte di Mario Bergamo e quella di Niekisch, in Russia – negli Anni ’90 – lo scrittore Eduard Limonov, il chitarrista Egor Letov ed il filosofo Aleksandr Dugin fonderanno il Partito NazionalBolscevico, propugnatore del ritorno del socialismo in Russia e oppositore del totalitarismo liberal-capitalista di Eltsin e Putin. E, per queste ragioni, il partito sarà messo fuorilegge nel 2007 dalla Corte Suprema russa e successivamente rifondato, con la denominazione “Altra Russia”, guidato dal solo Limonov e ancor oggi perseguitato.
L’Ideale Nazionalcomunista e Nazionalbolscevico, può essere per molti versi contiguo e finanche aver ispirato il Peronismo argentino, il Sandinismo del Nicaragua, il Socialismo arabo, jugoslavo, panafricano e quello cubano. Un ideale repubblicano e laico, che mette al primo posto l’autogestione e l’autogoverno dei lavoratori e dei cittadini.
Mario Bergamo e Randolfo Pacciardi si possono dunque definire, per la loro intransigenza, per la loro opera e storia politica, pur inascoltata e ingiustamente vilipesa, gli ultimi rivoluzionari italiani del mazzinianesimo e del garibaldinismo.
Rivoluzionari che hanno lottato, immaginato, sognato e prefigurato l'idea di una Repubblica autentica e diversa dall'attuale. Libera dal fascismo, dal malaffare, dal liberalismo, dal parlamentarismo intriso di lobbismo.
Non sappiamo se nasceranno ancora, in Italia, dei rivoluzionari come loro. Personalmente ne dubito, se penso che l'ultimo rivoluzionario degno di questo nome fu Bettino Craxi, che fu costretto all'esilio.
Sicuramente quelle idee, attualissime oggi più ancora che ieri, non moriranno mai.
Luca Bagatin
giovedì 24 aprile 2025
Socialismo, ovvero gestione dell'economia a beneficio della comunità. Articolo di Luca Bagatin
Da troppi decenni, purtroppo, la parola stessa “socialismo” o non viene utilizzata, oppure viene utilizzata a sproposito. Almeno nei Paesi UE e, più in generale, nel cosiddetto Occidente liberal capitalista.
Appena si parla di socialismo, ovvero di gestione dell'economia da parte della comunità, a beneficio della stessa, si viene accusati di estremismo o di...comunismo (come se il comunismo fosse, in sé, una bestemmia).
I veri estremisti, solitamente, sono invece coloro i quali muovono determinate accuse. Solitamente si tratta di liberal capitalisti che, l'economia, vogliono sia gestita da pochi e a beneficio di pochi.
Ovvero coloro i quali, la comunità, vogliono metterla in vendita, oppure l'hanno già venduta.
Alle multinazionali e al grande capitale finanziario, che veicola bisogni indotti attraverso la pubblicità commerciale e che privatizza ogni cosa. Sanità compresa.
Ovvero coloro i quali vorrebbero, nei fatti, negare i diritti umani fondamentali delle persone.
Come hanno fatto con i Paesi dell'Est europeo – a partire dagli Anni '90 - e tutti gli altri, sottomettendone sovranità politica, economica e sociale.
Ho i miei dubbi che, dalle nostre parti si possa ricostituire qualcosa di socialista, più che altro perché mancano tre aspetti fondamentali: formazione (conoscenza, alla base di tutto); coraggio; capacità di analisi; volontà di andare oltre il proprio orticello e quindi di comprendere che, fare in modo di stare bene tutti, anziché solamente noi stessi, è il modo più efficace ed efficiente per vivere, far vivere il prossimo e far prosperare la comunità nella quale si vive.
Questi concetti li hanno compresi solamente i socialisti seri. In Europa quelli slovacchi e moldavi, qualche britannico come Jeremy Corbyn, i neo-bonapartisti francesi e i socialisti latinoamericani, panafricani, russi e cinesi.
Nella Storia, sia italiana, che europea e mondiale, moltissimi sarebbero gli esponenti socialisti ai quali ispirarsi. Solo apparentemente diversi fra loro, ma unicamente perché hanno vissuto in epoche e contesti culturali diversi.
Ad ogni modo, molti di costoro, li ho descritti nel mio saggio “Ritratti del Socialismo” (https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/670930/ritratti-del-socialismo), nel quale invito anche a recuperare gli ideali e propositi socialisti, mazziniani, anarchici e marxisti della Prima Internazionale dei Lavoratori (1864), attualizzandoli, osservando gli esempi socialisti emancipatori, autogestionari e efficienti di America Latina e Repubblica Popolare Cinese.
Pensiamo a filosofi, ma anche condottieri e politici quali Pierre-Joseph Proudhon, Pierre Leroux, Paul Lafargue, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Aleksandr Herzen, Luigi Napoleone Bonaparte, Mario Bergamo, Randolfo Pacciardi, Ernesto Rossi, Roberto Tremelloni, Juan Domingo Peron, Sandino, Hugo Chavez, Mu Ammar Gheddafi, Thomas Sankara, Josip Broz Tito, Deng Xiaoping, Bettino Craxi e molti altri.
Cosa elaborarono costoro, pur di nazionalità, cultura e epoche diverse, se non un socialismo largo e senza equivoci, anticapitalista e riformatore al contempo, ove al centro vi era la comunità, la sovranità, l'efficienza pubblica, l'autogestione, la collaborazione fra lavoratori e, in particolare, l'unione fra capitale e lavoro, posti nelle stesse mani?
Socialismo è questa roba qui.
Proprietà pubblica dei settori chiave dell'economia (telecomunicazioni, energia, trasporti, banche, industria pesante, settore militare, sanità e istruzione).
Promozione dell'autogestione delle imprese (azionariato popolare, proprietà delle imprese di chi vi lavora).
Promozione dell'efficienza, contro ogni monopolio e spreco.
Promozione della cooperazione internazionale, del multipolarismo, di un commercio aperto e libero fra Paesi.
Promozione di una società ordinata, fondata sul principio di autorità e di rispetto per le persone, in particolare per i più deboli. Con pene molto severe e inappellabili per chi commette reati contro la persona, in particolare contro le persone più deboli.
Promozione dell'educazione e della formazione delle persone. Dalla culla fino all'età matura.
Promozione della giustizia sociale fra le persone e fra gli Stati.
Promozione di un mondo più unito e inclusivo.
Promozione della laicità dello Stato e lotta ai fondamentalismi religiosi.
Nulla, insomma, di trascendentale e nulla che molti Paesi, già sopra citati e non liberal capitalisti, non conoscano già da molti decenni.
Qui da noi si sono solamente perduti questi concetti, per lasciare spazio a una UE oligarchica, non democratica, a guida tedesca (e a unico beneficio della Germania, che il socialismo lo ha abbandonato da quel dì), sostenuta da vere estreme destre e pseudo sinistre liberal capitaliste.
E abbiamo scelto di rimanere sottomessi ai Presidenti USA di turno, che il socialismo lo hanno sempre perseguitato, perché ostacolo alle classi ricche, oligarchiche e suprematiste bianche le cui lobby economiche li sostengono.
Il mondo di oggi, ad ogni modo, è sempre più interconnesso e multipolare.
La demografia condanna l'Occidente liberal capitalista e anche le sue classi politiche, sempre meno colte, efficienti e lungimiranti.
E' il momento del Sud del mondo, che, se guidato dal socialismo, può essere portatore di rinascita e benessere diffuso, come già vediamo grazie al Presidente brasiliano Lula e a quello cinese Xi Jinping.
E' il momento di riannodare i fili di un socialismo largo, efficiente, efficace, serio e che non ha dimenticato la Storia e le sue lezioni.
Luca Bagatin
mercoledì 23 aprile 2025
Vertice dei Paesi dell'America Latina e dei Caraibi. Unità nel nome dell'integrazione, della cooperazione e dell'opposizione alle misure unilaterali imposte dagli USA. Articolo di Luca Bagatin
Il 9 aprile scorso si è concluso, a Tegucigalpa, capitale dell'Honduras, il nono vertice della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC).
Nell'ambito di tale vertice, il Presidente socialista brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva (che il 9 maggio prossimo si recherà in Russia per partecipare alle celebrazioni dell'80esimo anniversario della vittoria dell'URSS contro la Germania nazista e il 12 e 13 in Cina, per il vertice Cina-CELAC), ha affermato che “L'America Latina e i Caraibi stanno attraversando uno dei momenti più critici della loro Storia. Abbiamo fatto molta strada per consolidare i nostri ideali di emancipazione; abbiamo abolito la schiavitù e superato le dittature militari. Ora, la nostra autonomia è di nuovo in gioco. Il momento richiede che mettiamo da parte le nostre differenze. I tentativi di ripristinare vecchie egemonie incombono sulla regione. La Storia ci insegna che le guerre commerciali non hanno vincitori”.
Il Presidente socialista Colombiano, Gustavo Petro, ha invitato i Paesi che compongono il CELAC, a unirsi contro la politica dei dazi imposta dagli USA, spiegando anche che, oggi, esistono solamente due strade per risolvere i conflitti: o con il multilateralismo o con la solitudine, ovvero l'isolazionismo. Egli ha puntato il dito anche contro la politica migratoria di Trump, affermando: “L'agenda della solitudine propone di trattare il migrante come un criminale. I migranti non dovrebbero arrivare in catene nella nostra terra, perché se accettiamo un singolo migrante in catene, non solo torniamo ai tempi di Torrijos, ma torniamo a quando i primi barconi carichi di africani arrivarono in catene”.
Concorde il Presidente socialista cubano, Miguel Diaz-Canel, il quale ha sottolineato la necessità dei Paesi latinoamericani e caraibici di unirsi: “La gravità di questo momento di minacce moltiplicate esige la moltiplicazione delle forze unitarie. Solo l'unità può salvarci. Non ritardiamo oltre l'integrazione sognata e combattuta, da Bolívar a oggi, dai figli e dalle figlie più coraggiosi della Nostra America”.
Anche la Presidentessa socialista del Messico, Claudia Sheinbaum, ha affermato la necessità dell'unità dei Paesi del CELAC, per rivendicare la propria sovranità e il proprio benessere economico: “Oggi più che mai è un buon momento per riconoscere che l’America Latina e i Caraibi hanno bisogno di unità e solidarietà tra i loro governi e popoli, per rafforzare una maggiore integrazione regionale, sempre nel quadro del rispetto reciproco e dell’osservanza della sovranità e dell’indipendenza”.
Al vertice ha portato i suoi saluti anche il Presidente cinese Xi Jinping, il quale ha elogiato la ricerca di indipendenza, autosufficienza e forza che hanno sempre caratterizzato i Paesi del CELAC, parte importante del Sud del mondo. Egli ha altresì sottolineato che quest'anno, la Cina, ospiterà a Pechino la quarta riunione ministeriale del Forum Cina-CEALC, al fine di discutere di come promuovere sviluppo e cooperazione.
Il vertice dei CELAC si è concluso con una Dichiarazione firmata da 30 dei 33 Stati membri.
Gli unici a non votarla sono stati i Paesi guidati dalla destra liberal capitalista filo-statunitense, ovvero da Argentina e Paragauay, ma anche il Nicaragua socialista di Ortega, il quale non l'ha firmata in quanto, nel documento, non è presente una dichiarazione esplicita di difesa di Cuba e Venezuela, oltre che una condanna dichiarata del genocidio del popolo palestinese in Medio Oriente.
I punti cardine della Dichiarazione del vertice sono stati: il rifiuto delle misure coercitive unilaterali imposte dagli USA; l'adesione ai principi della Carta delle Nazioni Unite, al diritto internazionale, alla democrazia, al multilateralismo, ai diritti umani, all'autodeterminazione dei Paesi e alla sovranità e integrità territoriale; unire gli sforzi al fine di garantire che un cittadino dell'America Latina e dei Caraibi sia nominato prossimo Segretario Generale del'ONU; sostegno ad Haiti, preda di gang criminali e le congratulazioni all'Honduras quale presidente pro-tempore dei CELAC
Luca Bagatin
martedì 22 aprile 2025
Amare, scandalizzare, illuminare. Versi poetici di Luca Bagatin
Amare una sola donna
È un insulto
Al fascino ispiratore
Sacro e dissacrante
Emanato
Da tutte le altre.
Chi ama
Non si limita
Chi ama osa
Oltre ogni stupida morale
Oltre ogni vuota abitudine
Oltre ogni superstizione
Che nega l'Amore
Che nega la Volontà
Che nega la Luce
Che nega l' Avvenire
Luca Bagatin
SCANDALIZZARE
Scandalizzare, scandalizzare sempre!
I benpensanti sono stupidi, vuoti, ignoranti, che vanno unicamente scandalizzati, per risvegliare le loro coscienze morte!
Lo scandalo è la loro unica cura.
Lo scandalo è Luce, Vita, Amore e Libertà!
Luca Bagatin
ILLUMINARE
Luca Bagatin
Dazi e problemi nazionali per Trump. Articolo del prof. Giancarlo Elia Valori
Il popolo americano non sosterrà la politica tariffaria del presidente
degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, che alla fine fallirà. Lo ha
affermato poco tempo addietro durante un briefing il rappresentante
ufficiale del Ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, le sue parole
sono state riportate dalla Reuters: «La causa degli Stati Uniti
d’America non riceverà il sostegno popolare e si concluderà con un
fallimento», ha osservato il diplomatico.
Pechino non ha alcun interesse in una guerra commerciale, ma non avrà
timore se Washington continuerà a minacciare tariffe, ha affermato Lin
Jian. Ha inoltre sottolineato che la Repubblica Popolare della Cina «non
resterà a guardare e non permetterà che vengano violati i legittimi
diritti e interessi del popolo cinese».
La tradizione politica degli Stati Uniti d’America prevede che un nuovo
presidente goda di una sorta d’indulgenza nelle critiche delle sue
azioni nei primi cento giorni dopo l’insediamento. Questa regola,
tuttavia, non ha funzionato nel caso del 47° presidente: i suoi
oppositori sono pronti ad adottare immediatamente misure ostili contro
qualsiasi iniziativa del capo della Casa Bianca.
La guerra dei dazi ha una vittima, e non è solo la Cina fra le più
colpite. E Trump non ha deluso i suoi nemici, cominciando fin dai primi
giorni a bruciare a ferro e fuoco l’eredità del Partito Democratico: ha
vietato la precedente politica statale che incoraggiava la “diversità di
genere” e il cambio di sesso per i minori, ha ripulito l’apparato
statale, l’esercito e i servizi speciali dai sostenitori del governo
precedente e ha anche chiuso due organizzazioni che promuovevano
l’agenda del governo precedente nel mondo: l’Agenzia statunitense per lo
sviluppo internazionale (USAID) e Voice of America. La Casa Bianca non
ha nemmeno provato a riportarli sotto controllo. Queste organizzazioni
erano necessarie nell’era della globalizzazione, che non ha soddisfatto
le aspettative statunitensi e che stanno chiudendo a causa della sua
inutilità, a parere di Trump.
Tuttavia, tutte le iniziative volte a riorganizzare la burocrazia
statunitense non hanno ancora prodotto risultati significativi in
termini di semplici risparmi. Anche il tentativo di ridurre
significativamente la spesa pubblica ordinaria senza aumentare la
tensione sociale non ha prodotto alcun risultato.
Trump è costretto a risolvere il problema del deficit di bilancio, ma
invece di ricorrere alle riserve interne, ha deciso di rimandare a
quelle esterne. La dichiarazione di una guerra commerciale contro la
Cina mira, tra le altre cose, a risolvere due compiti principali:
contenere lo sviluppo del principale avversario geopolitico e intimidire
gli altri Paesi, costringendoli ad accettare modifiche nelle condizioni
del commercio internazionale e quindi a ricostituire il bilancio degli
Stati Uniti d’America.
Durante la campagna elettorale per le presidenziali, Donald Trump ha
promesso di migliorare significativamente la situazione economica dei
cittadini statunitensi, in particolare riducendo i prezzi dell’energia,
dei medicinali e dei prodotti alimentari. Si è trattato di puro
populismo, ma queste sono le leggi del genere politico statunitense:
senza ingannare la parte più credulona dell’elettorato, è impossibile
vincere le elezioni presidenziali. Ma questi elettori si disilludono dei
politici con la stessa rapidità con cui ne sono rimasti affascinati.
Nei primi giorni successivi all’insediamento del 47° presidente degli
Stati Uniti d’America, il 50% degli intervistati ha sostenuto le sue
azioni, mentre il 44% si è opposto. A metà marzo, il numero di coloro
che approvavano e di coloro che disapprovavano l’operato di Trump era
uguale, e oggi il 50% dei cittadini statunitensi disapprova il suo
operato come presidente, mentre il 47% continua ad approvarlo.
Allo stesso tempo, i sostenitori del Partito Democratico sono diventati
più attivi, uscendo dal coma seguito al K.O. subito alle elezioni
parlamentari e presidenziali dello scorso novembre. Già si sono svolte
proteste in tutti i cinquanta stati con lo slogan comune “Giù le mani!”:
i dimostranti chiedevano a Trump di non tagliare i programmi sociali,
di smettere di deportare gli immigrati illegali, di smettere di
licenziare i dipendenti federali e di restituire il sostegno governativo
al movimento transgender. Sebbene il numero complessivo di proteste in
tutto il Paese fosse di 1.400, esse hanno attirato solo circa mezzo
milione di persone. La manifestazione più grande ha avuto luogo a
Washington, dove ora ci sono molti ex funzionari disoccupati arrabbiati
con Trump, ma anche lì si sono radunate circa 20mila persone.
L’idea di mettere Trump sotto accusa continua a ripresentarsi al
Congresso degli Stati Uniti d’America. Particolarmente persistente è il
membro più turbolento della Camera dei rappresentanti del Partito
Democratico, il pastore protestante nero Albert Leornes ‘Al’ Green, che a
marzi fa è stato scortato fuori dall’aula del Congresso dalle guardie
di sicurezza per aver tentato di interrompere il discorso del
presidente. Tuttavia, l’inquilino della Casa Bianca ha un paio di assi
nella manica. Di recente ha affermato che gli ordini esecutivi del
presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden per graziare suo figlio
Hunter Biden e una serie di funzionari a lui vicini utilizzavano un
facsimile anziché una firma normale. E questo presumibilmente li rende
non validi. Ciò significa che l’attuale presidente ha lasciato intendere
ai vertici del Partito Democratico che non hanno problemi personali, a
patto che restino seduti in silenzio in assemblea. Le prospettive di una
rivolta parlamentare sembrano quindi scarse.
Gli oppositori di Trump potrebbero aver fatto una falsa partenza
dimostrando che il programma anti-Trump non trova sostegno nemmeno tra
la maggioranza dei sostenitori del Partito Repubblicano. La maggior
parte degli statunitensi, pur essendo leggermente delusa da Trump, è
comunque più o meno soddisfatta della propria situazione economica. A
marzo, gli Stati Uniti d’America hanno creato 228 mila nuovi posti di
lavoro (previsione: 140 mila) e l’inflazione annuale è scesa al 2,8%
(previsione: 3%), il dato più basso da marzo 2021.
Tuttavia, quando i dazi di Trump faranno aumentare i prezzi delle
importazioni e i dazi di ritorsione causeranno un calo delle
esportazioni americane, le proteste potrebbero acquisire un’ampia base
sociale e diffondersi ulteriormente. Ma se alla Casa Bianca viene in
mente l’idea di risolvere il deficit di bilancio aumentando
drasticamente le tasse, il malcontento pubblico sarà ancora più grave.
Mentre per le strade tutto è calmo, Trump continua ad apportare
importanti trasformazioni nello Stato profondo. Ad Elon Musk è stato
assegnato un incarico come consigliere esterno alla Casa Bianca, ma è
diventato di fatto il capo del Dipartimento per l’efficienza governativa
(Department of Government Efficiency: DOGE), che ha il compito di
mettere ordine nella spesa pubblica prevenendo casi di appropriazione
indebita di fondi di bilancio, sospendendo i finanziamenti per programmi
governativi insensati e licenziando dipendenti pubblici non necessari.
Musk aveva inizialmente annunciato l’intenzione di tagliare la spesa
federale di due trilioni di dollari all’anno, ma in seguito aveva
rivisto il suo obiettivo a un trilione di dollari.
Una volta che i dazi di Trump faranno aumentare i prezzi delle
importazioni e i dazi di ritorsione causeranno un calo delle
esportazioni statunitensi, le proteste negli Stati Uniti d’America
potrebbero acquisire un’ampia base sociale.
In due mesi, 280.000 dei tre milioni di dipendenti pubblici (esclusi i
due milioni di militari e gli impiegati delle Poste) sono stati
licenziati, fatto che gli oppositori di Trump hanno cercato di dipingere
come qualcosa senza precedenti e che minacciava il collasso del
governo. Tuttavia, la storia degli Stati Uniti d’America conosce esempi
di tagli più radicali. Ad esempio, l’amministrazione del presidente
democratico Bill Clinton ha tagliò 400mila dei 2,2 milioni di dipendenti
pubblici, senza che ciò abbia avuto alcun effetto sull’efficienza
dell’apparato governativo.
È interessante notare che la rivoluzione del personale di Trump sta
incontrando resistenza non solo da parte dell’opposizione, ma anche da
parte di membri del governo. Così, è venuto alla luce il conflitto tra
Elon Musk e il Segretario di Stato Marco Antonio Rubio, di origini
cubane, che non voleva ridurre il personale del Dipartimento di Stato. A
proposito, questo ufficio statunitense di “gestione mondiale” impiega
circa 70mila persone.
Alla fine, Trump si è schierato con Rubio, dichiarando che la decisione
finale sulla riduzione del numero dei dipendenti del dipartimento
sarebbe stata presa dal capo dello stesso dicastero. Ebbene, quale
ministro vorrebbe ridurre il numero dei suoi dipartimenti e quindi il
proprio peso amministrativo?
Trump, impedendo a Musk di effettuare tagli davvero su larga scala, sta
molto probabilmente seguendo questa logica, temendo che una forte
riduzione del numero di funzionari federali finisca per ridurre il peso
del potere presidenziale nel Paese.
Inoltre, il capo della Casa Bianca ha le sue idee su come addestrare lo
“Stato profondo”. I suoi rappresentanti temono molto di Musk, il che
significa che Trump sta interpretando il ruolo del poliziotto buono,
contando sul fatto che i funzionari sviluppino la sindrome di Stoccolma.
Invece di bombardamenti a tappeto, la Casa Bianca preferisce effettuare
attacchi mirati contro i dipendenti sleali.
Secondo il DOGE, il dipartimento ha già fatto risparmiare al governo 140
miliardi di dollari. Ma allo stesso tempo, solo a febbraio di
quest’anno, il deficit di bilancio federale ammontava a 307 miliardi di
dollari, il 3,7% in più rispetto a febbraio 2024. Pertanto, è ancora
troppo presto per parlare di grandi successi del DOGE.
Il suo capo, Elon Musk, è chiaramente infastidito dal fatto che Trump lo
abbia strappato al mondo degli affari e gli abbia affidato un compito
che Trump stesso sta impedendo di attuare. Ma Trump non aveva bisogno di
risultati da Musk, aveva bisogno di pubbliche relazioni, come il
recente utilizzo di aerei militari per deportare gli immigrati illegali
dagli Stati Uniti d’America. Far volare degli immigrati clandestini su
un aereo da trasporto militare C-17 verso il Guatemala costava cinque
volte di più che volare in business class: era terribilmente
inefficiente, ma era una bella notizia.
Donald Trump ha dichiarato pubblicamente che Elon Musk potrebbe lasciare
il servizio governativo a fine maggio secondo l’AP/TASS. Ecco perché
oggi il rapporto tra Trump e Musk si sta deteriorando sotto gli occhi di
tutti. A fine marzo 2025, il presidente degli Stati Uniti d’America ha
dichiarato pubblicamente che Musk avrebbe potuto lasciare l’incarico
governativo alla fine di quel mese e tornare a gestire le sue numerose
attività.
È ormai chiaro che Donald Trump non è disposto a prendere scorciatoie
per ridurre il deficit di bilancio, soprattutto se ciò comporta dei
costi politici. Ad esempio, il presidente non sta cercando di tagliare i
costi dell’assistenza sanitaria, che assorbono un terzo delle spese del
bilancio federale, nonostante abbia adottato misure simili all’inizio
del suo primo mandato presidenziale. Trump punta sulla stabilità
sociale. Tra appena un anno e mezzo si terranno le elezioni di medio
termine per il Congresso e, con un forte aumento del numero di persone
insoddisfatte, i democratici potrebbero prendere il controllo di
entrambe le camere del parlamento, soffocando sul nascere la
“rivoluzione” trumpista.
In queste condizioni, il commercio estero è diventato il principale
ambito di trasformazione. Durante la campagna elettorale, Trump ha
continuato a creare l’immagine di un nemico economico straniero che
«approfittava dei nostri scambi commerciali», concentrandosi in
particolare sulla Cina. La disequità, secondo Trump, consisteva nell’uso
di una vasta gamma di barriere non tariffarie, ad esempio la
manipolazione del tasso di cambio o la tassazione delle importazioni in
aggiunta ai dazi sotto forma di imposte ordinarie. Trump non ha però
specificato che le regole della globalizzazione sono stabilite dagli
stessi Stati Uniti d’America. Ha preferito concentrarsi sul risultato
negativo, rappresentato da un enorme deficit commerciale.
Il grado di intensità delle passioni anti-cinesi alla Casa Bianca è
dimostrato dalla recente dichiarazione del capo del Pentagono, Pete
Hegseth, il quale, accusando la Cina di ambizioni militari globali e di
desiderio di militarizzare lo spazio, ha anche affermato l’assurdità
para-razzista che «i pescatori cinesi stanno rubando cibo ai Paesi
dell’emisfero occidentale». Seguendo questa logica, dovremmo aspettarci
che gli statunitensi accusino i cinesi di rubare l’ossigeno agli Stati
Uniti d’America perché pure in Cina la gente respira.
Imponendo tariffe elevate alla Cina, all’Unione Europea, al Giappone,
alla Corea del Sud e a numerosi altri Paesi, Trump ha agito secondo uno
scenario pianificato in precedenza, che prevedeva originariamente il
proseguimento della guerra commerciale solo con la Cina. Ad esempio, la
Casa Bianca ha giustificato la sospensione per 90 giorni dell’aumento
delle tariffe doganali nei confronti di tutti i Paesi, eccetto la Cina,
con il fatto che non sono state prese misure di ritorsione contro gli
Stati Uniti d’America e si è chiesto di avviare negoziati. Tuttavia, non
è così: l’UE ha annunciato tariffe di ritorsione, ma Trump ha scelto di
ignorarle e di continuare ad agire secondo il piano pre-approvato in
funzione anticinese. Se gli Stati Uniti d’America adottassero politiche
commerciali contro la Cina e l’UE, ciò potrebbe contribuire a formare
un’alleanza sino-europea anti-statunitense, alla quale altri Paesi
danneggiati da Washington sarebbero lieti di aderire.
Ma anche dopo la “generosa” riduzione dei dazi contro l’UE dal 20 al
10%, la deriva dimostrativa degli europei verso la Cina è continuata. La
stampa ha così appreso che la Cina e l’UE hanno concordato di avviare i
negoziati per l’abolizione dei dazi UE sui veicoli elettrici cinesi. È
stato anche annunciato che a luglio i leader dell’UE si recheranno a
Pechino per un vertice con il presidente cinese Xi Jinping.
Washington e Pechino hanno continuato a scambiarsi tariffe doganali con
apparente superficialità, con il risultato che venerdì sera, 11 aprile,
le tariffe statunitensi sui prodotti cinesi ammontavano al 145%, mentre
la Cina ha aumentato le tariffe sulle importazioni statunitensi al 125%.
A questo livello di tariffe, il commercio reciproco perde significato,
dovremmo aspettarci la sua completa cessazione e possiamo cominciare a
calcolare le perdite reciproche.
Entro la fine del 2024, il volume degli scambi commerciali tra Stati
Uniti d’America e Cina (secondo l’Amministrazione generale delle dogane
della Repubblica Popolare Cinese) ammontava a 688,28 miliardi di
dollari, di cui 163,62 miliardi di dollari di esportazioni statunitensi
verso la Cina e 524,66 miliardi di dollari di esportazioni cinesi verso
gli Stati Uniti d’America.
Ma se valutiamo i rischi politici, questi sono più elevati per gli Stati
Uniti d’America. Il consumatore statunitense è da tempo viziato
dall’abbondanza dei beni e viziato dalla loro reperibilità, e qualsiasi
peggioramento, anche minimo, della sua situazione finanziaria si
rifletterà sicuramente alle prossime elezioni. Se consideriamo che il
Paese proporzionalmente con più obesi al mondo è Nauru con il 71,7%
degli abitanti (19,3 kmq; 12.623 ab.), il secondo sono gli Stati Uniti
d’America 9.833.520 kmq e 340.110.988 di cui due terzi sono potenziali
elettori sovrappeso.
Elon Musk ha iniziato una ribellione pubblica contro la guerra
commerciale appena iniziata, permettendosi di insultare pubblicamente il
consigliere economico capo della Casa Bianca, Peter Kent Navarro, che è
un sostenitore dell’introduzione dei dazi.
La risposta di Trump, tuttavia, è stata dura. Poco dopo, durante una
riunione del suo gabinetto alla presenza di Musk, dichiarò: «Non ho
affatto bisogno di Elon, mi piace e basta. Ha fatto un ottimo lavoro.
Non mi serve la sua Tesla. Sai cosa ci faccio? La lascio guidare a
quelli in ufficio».
I dazi sono stati osteggiati anche dal famoso economista americano
Jeffrey Sachs, professore alla Columbia University, il quale ha
affermato che «se i dazi hanno lo scopo di ridurre il deficit
commerciale degli Stati Uniti d’America, falliranno» e ha promesso che
tali misure porteranno ad una diminuzione della competitività degli
Stati Uniti d’America e del tenore di vita dei cittadini.
Ma per Trump questo ragionamento è simile a quello di un giocatore di
scacchi che spiega che un pugile non potrà mai batterlo. Il capo della
Casa Bianca capisce perfettamente che le difficoltà temporanee sono
inevitabili e mette in guardia i cittadini statunitensi al riguardo.
«Eravamo delle ‘vittime’ stupide e indifese, ma questo non accadrà più.
Stiamo riportando in vita posti di lavoro e imprese come mai prima
d’ora. Sono già stati investiti più di cinquemila miliardi di dollari, e
questa cifra sta crescendo rapidamente! Questa è una rivoluzione
economica e vinceremo! Tenete duro, non sarà facile, ma il risultato
finale sarà storico», ha scritto Trump sui suoi social media. Andra
così, oppure no?
Giancarlo Elia Valori
155 anni fa nasceva Vladimir Lenin
“Finché esiste lo Stato non vi è libertà; quando si avrà libertà non vi sarà più Stato”
Essa rimarrà sempre per la minoranza, per gli sfruttatori e per i ricchi contro la maggioranza dei salariati, soffocati dal bisogno e dalla miseria.
Così ché la maggioranza dunque è di fatto impedita alla reale partecipazione attiva, alla vita politica e sociale.
"Nell’Himalaya, sappiamo ciò che tu stai compiendo. Hai abolito la chiesa, che è diventata una fucina di menzogne e di superstizione. Hai distrutto la borghesia che diventata agente di pregiudizi. Hai distrutto le scuole che erano diventate delle carceri. Hai condannato l’ipocrisia della famiglia. Hai eliminato l’esercito, che guida degli schiavi. Hai schiacciato i guadagni degli avidi speculatori. Hai chiuso le case di tolleranza. Tu hai liberato il paese dal potere del denaro. Hai riconosciuto che la religione è l’insegnamento della materia universale. Hai riconosciuto l’irrilevanza della proprietà privata. Hai previsto l’evoluzione della comunità. Hai posto l’accento sull’importanza della conoscenza. Ti sei prostrato davanti alla bellezza. Hai riservato tutto il potere del Cosmo per i bambini. Hai aperto le finestre dei palazzi. Hai visto l’urgenza di costruire case per il Bene Comune. Hai fermato la rivolta in India, perché era prematura, ma abbiamo riconosciuto la tempestività del tuo intervento, e vi mandiamo tutto il nostro aiuto, affermando l’Unità dell’Asia"
lunedì 21 aprile 2025
Socialismo contro liberal-capitalismo. Riflessioni di Luca Bagatin
Socialismo non è togliere a chi ha di più per dare di più a chi ha meno.
Quella si chiama carità.
Socialismo è togliere a chi ha di più per organizzare la società in modo che NESSUNO abbia MAI meno del necessario.
(Luca Bagatin)
Appena uno parla di socialismo, ovvero di gestione dell'economia da parte della comunità, a beneficio comunità stessa, lo accusano subito di estremismo.
I veri estremisti, invece, sono proprio colori i quali muovono tali accuse.
Perché dietro di loro si nascondono i liberal capitalisti.
Ovvero coloro i quali, la comunità, vogliono metterla in vendita.
O, forse, l'hanno già venduta.
(Luca Bagatin)
Il concetto di "libertà"
è talmente ampio che non andrebbe affatto generalizzato.
La
generalizzazione di tale concetto, ha portato a una società - quella
Occidentale liberal capitalista - inconsapevole, disordinata, ove
tutto è permesso, ovvero niente è davvero permesso.
Una tale
"libertà" - ove è assente il rispetto per il prossimo e
l'interiorizzazione del concetto del limite - è, nei fatti,
"schiavitù".
Il liberal capitalismo, infatti, si fonda
sulla schiavitù. Oltre che sull'ignoranza.
Per questo è il
nemico principale della libertà e della giustizia sociale.
(Luca Bagatin)
Unire gli opposti.
Questo è quello che ho sempre trovato interessante e utile.
Perché è dall'unione degli opposti che nasce qualche cosa di intelligente.
(Luca Bagatin)
(Luca Bagatin)
Il Papa dell'Amore ci ha lasciato
Il Papa dei cattolici Francesco ci ha lasciato.
Pur essendo io lontano anni luce dal cattolicesimo e del cristianesimo, lo stimavo, come persona e uomo di Stato.
Egli fu fra i pochissimi a stare dalla parte della pace e dalla parte giusta della Storia, in Europa, criticato anche dai grandi media, che oggi pur lo ricordano.
Fu dalla parte dei poveri e di un Sud del mondo storicamente oppresso da un Occidente che finge di nascondere il suo suprematismo bianco, il suo razzismo e la sua ipocrisia.
Il Papa dei cattolici Francesco fu un esempio di Amore e Libertà e così lo ricordiamo.
Luca Bagatin
Suoni di risate, ombre di vita
Squillano nelle mie orecchie aperte
Mi incitano e mi invitano
Amore immortale senza limiti
Che splende intorno a me come un milione di soli
Continua a chiamarmi
Attraverso l’Universo
giovedì 17 aprile 2025
Il bonapartismo storico e moderno, una forma di emancipazione sociale e di sovranità nazionale. Articolo di Luca Bagatin
Come scrissi alcuni anni fa in un articolo (https://amoreeliberta.blogspot.com/2022/11/il-socialismo-di-napoleone-iii-articolo.html), peraltro pubblicato anche in Francia, sulla rivista storica del Secondo Impero - “Napoleon III” - il carattere progressista e socialista del già Presidente della Repubblica Francese e successivamente Imperatore dei Francesi, Luigi Napoleone Bonaparte, ovvero Napoleone III, è pressoché sconosciuto ai più, almeno nel nostro Paese.
Così scrissi – fra le altre cose - nel mio articolo: “Luigi Napoleone sviluppò, negli anni, grazie alla sua formazione, alle sue amicizie e alle sue letture, una coscienza socialista sansimoniana. Nella sua biblioteca, infatti, era possibile trovare – fra le altre - opere di Thomas More (1478 – 1535), Saint-Simon (1760 – 1825) e del socialista britannico Robert Owen (1771 - 1858).
Certo, si trattava di un socialismo pre-marxista, non ancora intriso di lotta di classe e di contrapposizioni fra borghesi e proletari.
Un socialismo sviluppato da pensatori della fine del XVIII secolo e dell'inizio del XIX, i quali si interrogavano sulla questione operaia e, dunque, sullo sfruttamento degli operai all'inizio della prima Rivoluzione industriale.
Il socialismo di Saint-Simon e di Owen, che farà proprio anche Luigi Napoleone, partiva da concezioni filantropiche, umanitarie, associazionistiche e comunitarie.
Il movimento delle forze produttive, l'intervento della comunità rappresentata dallo Stato, l'associazionismo-cooperativismo dei lavoratori-produttori, avrebbero potuto – secondo tali pensatori - alleviare la povertà e generare lo sviluppo della comunità stessa.
E' tale movimento che il filosofo, editore e scrittore francese Pierre Leroux (1797 – 1871) chiama, per la prima volta nella Storia, “socialismo”, coniando un termine all'epoca ancora sconosciuto. E lo fa in un articolo del 1833, che diverrà molto popolare all'epoca, dal titolo “De l'individualisme et du socialisme””
Luigi Napoleone Bonaparte, imprigionato nella fortezza di Ham, a seguito del secondo colpo di Stato bonapartista contro Re Luigi Filippo d'Orleans il 6 agosto 1840 (il primo è del 30 ottobre 1836), decide dunque di dare corpo alle sue aspirazioni e di spiegare al popolo francese dell'epoca come già suo zio, Napoleone il Grande, fu un socialista ante-litteram.
Nel 1839, in prigione, scrive dunque un'opera molto importante, ovvero “Le idee napoleoniche”, nella quale egli intende presentarsi quale erede diretto dell'autorevole zio e, quindi, aspirante al trono francese.
La sua sembra dunque essere una concezione imperiale-socialista-rivoluzionaria e giustifica tale concezione parlando, nel testo, delle riforme attuate da Napoleone Bonaparte. Un Imperatore che – come spiega Luigi Napoleone - ha difeso gli ideali democratici della Rivoluzione Francese, ma riconciliando le classi popolari con quelle aristocratiche, spogliando queste ultime di quell'assolutismo che tanto le aveva rese invise al popolo.
La concezione bonapartista, dunque, si pone quale trait-d'union fra classi popolari e aristocrazia, contrapponendosi al liberalismo, che rappresenta la borghesia e il nascente capitalismo industriale”.
Del resto, nel 1844, Luigi Napoleone Bonaparte, pubblicò “L'estinzione del pauperismo”, un saggio nel quale si intravede la sua coscienza sociale e autogestionaria, fondata sull'associazione dei lavoratori e l'organizzazione del lavoro, quali prime basi per l'emancipazione delle classi povere e sfruttate.
Del resto, Luigi Napoleone, fu e rimase sempre amico di massoni, carbonari, repubblicani e montagnardi, molti dei quali italiani. Ed egli stesso fu membro della Carboneria (e, non è escluso, anche della Libera Muratoria).
Fondamentale ricordare che, come sottolineai nel mio articolo, “Sotto i governi di Napoleone III viene, infatti, introdotto il suffragio universale; abolito il lavoro la domenica e i giorni festivi; vengono creati crediti per aiutare gli agricoltori; create società di mutuo soccorso; introdotti gli ispettori del lavoro; viene creato il pensionamento per i dipendenti pubblici; vengono concesse onorificenze a operai e donne; vengono istituiti ospedali e asili per disabili; vengono rimboschite le brughiere della Guascogna; viene attuata l'idea di associazione capitale/lavoro nel feudo di Solferino di proprietà di Napoleone III; i sindacati vengono autorizzati e viene introdotta una legge sulle società cooperative; vengono introdotte le scuole primarie gratuite anche per le ragazze”.
Riforme sociali avanzatissime per l'epoca nella quale furono introdotte, se pensiamo che molte di queste, in altri Paesi europei, furono introdotte grazie alle lotte dei nascenti movimenti socialisti.
Ancora oggi c'è chi porta avanti, in Francia, gli ideali bonapartisti ed è il caso del movimento “L'Appel au Peauple” (https://lappelaupeuple.fr), che ricorda che il bonapartismo non è né liberalismo, né orleanismo, né nazionalismo identitario, ma è la via francese che “coniuga uno Stato forte, un appello al popolo e la modernizzazione”, nel solco degli insegnamenti di Napoleone Primo e Terzo.
In tal senso, il bonapartismo, sia storico che moderno, coniuga sovranità popolare, organizzazione pubblica, riforme sociali avanzate e affermazione dell'indipendenza nazionale e si è sempre dichiarato “né reazionario, né liberale”. Ovvero si dichiara “repubblicano, sociale e nazionale”.
Guidato da David Saforcada e dal Principe Joachim Murat, “L'Appel au Peauple”, all'opposizione e profondamente critico nei confronti sia dell'attuale governo Macron, che dell'opposizione francese di destra e sinistra, si è presentato alle elezioni europee nella coalizione “Nous le Peuple”, con la lista di sinistra “République souveraine”.
Promuove un programma di riforme sociali anti-liberal capitaliste; l'uscita della Francia dalla NATO e una revisione dell'UE e sostiene il rafforzamento del ruolo dello Stato e la laicità dello stesso, contro ogni fondamentalismo religioso.
Luca Bagatin