lunedì 13 ottobre 2025

Roberto Tremelloni, un socialista democratico, un servitore della Repubblica democratica. Articolo di Luca Bagatin

Oggi, gli italiani, lo dimostrano anche le recenti elezioni amministrative, non vanno più a votare, per la gran parte.

Non si riconoscono, infatti, in contenitori pressoché uguali e sempre più uguali, con il passare degli anni.

Contenutori volti a distruggere i diritti dei lavoratori; lo stato sociale; la sanità pubblica; a non fare nulla per i diritti degli anziani; delle donne e dei bambini; a non far nulla contro le baby gang e mantenere l'ordine pubblico.

Contenitori lontani tanto a livello nazionale, quanto a livello locale, dalle necessità dei cittadini e della comunità.

Contenitori che preferiscono piegarsi ai desiderata, sempre più sconsiderati e guerrafondai, di Bruxelles e Washington. Che fanno di tutto per distruggere un Occidente alla deriva.

La storia che racconterò e che ho già raccontato in altri articoli e video, riassumendola, è quella di un politico onesto, di un servitore della comunità, attraverso lo Stato democratico italiano di una Repubblica che non esiste più.

Quella Prima Repubblica, nella quale, governavano partiti di autentico Centro-Sinistra. E non gli eredi degli opposti estremismi, approdati al liberal capitalismo assoluto e al fondamentalismo senza costrutto, che si dicono “riformisti” senza esserlo mai stati.

E' la storia di un socialista democratico, raccontata in primis da Mattia Granata, nel suo “Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, edito da Rubbettino, con il contributo del Centro per la cultura d'impresa.

Di Roberto Tremelloni (1900 – 1987), che ricoprì i Ministeri dell'Industria e del Commercio; del Tesoro, delle Finanze e della Difesa, Enrico Mattei ebbe a scrivere, a proposito del suo modo di fare politica: “Socialista genuino, uomo di cultura moderna, l'On. Tremelloni ha indicato, senza demagogia, quello che un governo socialista deve fare (…), un dirigista, certo, ma un dirigista serio, non un facilone né un demagogo”.

Tremelloni nacque a Milano, in una famiglia povera e questo ha formato profondamente il suo carattere e il suo modo retto di fare politica.

Come riporta Granata, nel suo saggio, Tremelloni scrisse di sé: “Mi sembra molto importante, nel lungo andare della mia vita, il fatto di essere nato povero. Ciò ha giovato alla formazione del mio carattere. Io benedico spesso di essere stato allevato in un ambiente di difficoltà e ristrettezze materiali. Benedico questa scuola perché le difficoltà e le ristrettezze non mi fanno più paura. Perché lo sforzo per superarle diventa abitudine”.

Economista serio, fuori da ogni ideologismo e dogmatismo e sempre dalla parte della collettività, Tremelloni riteneva che fosse “Il proletariato che può e deve alzare la bandiera dello sviluppo economico nell'interesse di tutta la collettività”.

La sua politica fu sempre in contrasto con quella dei conservatori di ogni colore “anche se sono mascherati da etichette progressiste dei più vari movimenti di destra e sinistra”, affermava.

Da adolescente aderì al Partito Repubblicano Italiano di mazziniana e risorgimentale memoria, così come Pietro Nenni. Partito della trasparenza e della rettitudine per eccellenza, oltre che collocato all'estrema sinistra democratica e laica.

Tremelloni si definiva, già da allora, un risorgimentale fabiano, un umanitarista socialista mazziniano e patriottico e tali idee si rafforzarono anche grazie all'amicizia con il liberalsocialista Carlo Rosselli e il padre del Socialismo italiano, Filippo Turati.

Idee che guardavano a un libero mercato regolato a beneficio della collettività e non dell'egoismo privato. Oltre ogni visione classista di matrice marxista-leninista e contro ogni autarchismo di matrice fascista, che Tremelloni avversò con tutto sé stesso, in particolare quando fu chiamato ai suoi primi incarichi di governo, nella ricostruzione dell'Italia, nel dopoguerra.

Un socialismo municipalista e gradualista, il suo, che lo porterà a sostenere, così come il liberalsocialista e amico Ernesto Rossi, la lotta ai monopoli e la promozione della nazionalizzazione dei settori chiave dell'economia, a partire dal settore energetico.

Un socialismo che lo farà approdare, nel 1922, al Partito Socialista Unitario di Turati e Treves e, nel dopoguerra, al Partito Socialista di Unità Proletaria di Nenni e al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani di Giuseppe Saragat, successivamente Partito Socialista Unitario e, infine, Partito Socialista Democratico Italiano.

Si occupò, in gioventù, di giornalismo, sia sportivo che di cronaca e, nel 1919 fondò, con il fratello Attilio, la Casa Editrice Aracne e diresse la rivista della Confederazione Generale Del Lavoro, “Battaglie sindacali”, fino alla soppressione, durante il fascismo.

Nel 1926 fondò, peraltro, con Rosselli e Pietro Nenni, la rivista socialista “Quarto Stato”, anch'essa presto soppressa dal regime.

Ma la sua vera passione sarà sempre l'economia. Laureatosi nel 1924 in Scienze economiche, nel 1930, iniziò ad insegnare Economia politica presso l'Università di Ginevra.

Furono quelli gli anni in cui si dedicò maggiormente agli studi economici e meno all'impegno politico, purtuttavia rimase sempre un antifascista della prima ora, non mancando mai di rivolgere critiche alla politica economica del governo mussoliniano, come fa presente il saggio di Granata.

Egli fu, peraltro, fra i fondatori del giornale economico “Il Sole 24 Ore”.

Nel 1931, a Milano, fondò il GAR, ovvero il Gruppo Amici della Razionalizzazione, ovvero una sorta di centro studi economico, fortemente critico nei confronti dell'economia autarchica del regime.

Riuscì, ad ogni modo, a sfuggire alla condanna al confino, grazie al supporto della rete antifascista.

Nel dopoguerra, Tremelloni tornerà ad essere politicamente attivo, sebbene – come ricorda Mattia Granata - considerasse gran parte dei programmi dei partiti italiani piuttosto vaghi, nebulosi, poco concreti. Alla ricerca più del consenso o di non perdere consensi, piuttosto che fondati sulla ricostruzione del Paese, in favore della comunità.

Già allora egli mostrava il suo carattere pragmatico e non ideologico e, con questo spirito, contribuirà, nel 1947, a dare vita, con Saragat, al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).

Partito di sinistra laica, socialista democratico e oltre i blocchi contrapposti DC – PCI.

All'indomani della Liberazione, fu incaricato di ricoprire il ruolo di Vicepresidente del Consiglio Industriale per l’Alta Italia, ove si occupò di gestire e riattivare le strutture dell'economia produttiva.

E' in questo ruolo che ebbe modo di applicare la sua visione economica, basata sulla razionalizzazione della produzione, contro ogni forma di parassitismo e di spreco di danaro e energie pubbliche, oltre che contro ogni forma di protezionismo economico.

Ampliamento dei mercati e produzione economica di massa di beni utili e non voluttuari, erano le sue linee guida, per garantire una diffusa prosperità.

Il tutto, secondo Tremelloni, era possibile attraverso un “ordinato e funzionante” intervento pubblico nell'economia del Paese.

In questo senso, fu un sostenitore della nazionalizzazione di ferrovie, compagnie telefoniche e elettriche; dell'abolizione di ogni forma di monopolio e della promozione della meritocrazia in ambito occupazionale.

La politica di Tremelloni, in ambito economico, che era il cuore del programma del socialismo democratico dell'epoca, rifuggiva, dunque, da ogni forma di collettivismo classista e da ogni forma di liberalismo economico, come ottimamente sottolineato dall'autore del saggio biografico.

E questa sarà la politica che egli sempre porterà avanti, anche nei successivi incarichi di governo, all'Industria e commercio (1947), al Tesoro (1962), alle Finanze (1963) e alla Difesa (1966).

Una politica improntata alla buona amministrazione, all'evitare sperperi e sprechi, al risanamento dei conti pubblici ed alla razionalizzazione della spesa, ma all'insegna dello spendere meno, ma meglio, in particolare in settori importantissimi quali sanità e istruzione, sui quali Tremelloni intese investire maggiormente.

Inutile dire che si scontrò moltissimo con i politici della sua epoca, in tal senso.

Fu, come moltissimi esponenti del suo partito, un sostenitore dell'adesione dell'Italia al Patto Atlantico, ma allo stesso tempo fu, come tutti i socialisti democratici, un sostenitore della pace, del disarmo e del dialogo e della cooperazione internazionale con tutti i Paesi del mondo, oltre che dell'autonomia decisionale dell'Italia.

Fu, da Ministro delle Finanze, un sostenitore non solo della progressività delle imposte e dell'abolizione dell'esenzione fiscale a deputati e senatori, ma anche della lotta all'evasione fiscale e ciò gli attirò numerose critiche, da destra e sinistra.

La sua linea rigorosa era comprensibilmente giustificata proprio dal fatto che, grazie alle imposte progressive, non solo le classi meno abbienti avrebbero pagato meno, ma i servizi pubblici potevano essere resi più efficienti, se tutti avessero pagato ciò che a ciascuno competeva.

Come fa presente Mattia Granata nel suo saggio, Tremelloni mirava a moralizzare la vita pubblica e politica e spesso si trovò a scontrarsi con una dura realtà, fatta di malcostume diffuso, che spesso gli causò non poche delusioni e persino problemi di salute.

Egli detestava l'inefficienza, il malaffare, il trasformismo, la superficialità, la degenerazione partitocratica.

Tutte cose che riscontrerà anche da Ministro della Difesa, incarico che egli mai avrebbe voluto assumere.

Pacifista della prima ora, anche in quel caso, con grandi difficoltà, cercò di razionalizzare la spesa militare, pur non riuscendovi e trovandosi difronte a una realtà clientelare diffusa.

Tentò di riformare il SIFAR, trasformandolo in SID e tentando di correggere quelle deviazioni dei servizi segreti che stavano portando il Paese a subire un colpo di stato di estrema destra, durante la crisi del governo Moro-Nenni, nel 1964.

All'epoca, Tremelloni, fu lasciato solo persino da molti suoi compagni di partito, essendosi ormai inimicato gran parte dei poteri forti che si stavano sostituendo allo Stato.

Nel saggio “Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, Mattia Granata riporta alcune significative annotazioni di Tremelloni, relative a quel periodo: “Mi trovai intorno una cerchia abbastanza ampia di nemici giurati. Non solo i colpiti (evidentemente quelli del Sifar), ma anche i loro sovvenzionati (…) legati da vincoli di complicità e omertà, mi attaccarono e fecero attaccare con insolita durezza e con la diffusione delle più varie calunnie contro di me attraverso la mafia solidale degli informatori Sifar, che i servizi segreti avevano in ogni partito, in ogni agenzia giornalistica, in ogni centro di informazione o centro politico. (…). “Il Sifar si vendicava rabbiosamente (…) tutto lo Stato nello Stato si ribellava contro chi aveva osato mettersi contro di lui”.

Da allora, inizierà il declino politico di Tremelloni, sempre più isolato anche all'interno di un un PSDI che stava perdendo gran parte del suo glorioso passato socialista ed era in inevitabile calo di consensi da parte dell'opinione pubblica.

Così scriveva Tremelloni, all'indomani dell'esperienza al Ministero della Difesa: “Il partito non mi difese dagli attacchi e dalle calunnie, non fece quadrato attorno a me nella difficile e spericolata traversia che mi aveva attirato gli odii di tutti gli amici dei potentissimi servizi segreti (…) anche nei partiti di sinistra”.

In un PSDI guidato da Mario Tanassi, le personalità di alto profilo come Tremelloni erano sempre più tenute ai margini (la stessa pasionaria del socialismo, Angelica Balabanoff, negli anni, rimase sempre più delusa dai vertici del partito dei socialisti democratici e non mancò di sottolinearlo, nelle sue memorie).

Tremelloni non venne più considerato in seno al PSDI e gli veniva preferita, nel 1968, il sostegno – nel suo stesso collegio milanese - alla candidatura di Eugenio Scalfari alle elezioni politiche e, solamente grazie al ripescaggio dei resti, e all'interessamento di Pietro Nenni, sarà rieletto, come fa presente il saggio di Granata.

Tremelloni, ad ogni modo, non smise mai di scrivere, studiare e battersi contro il fenomeno dell'inflazione, sottovalutatissimo dalla gran parte dei politici dell'epoca. E ciò di pari passo con la denuncia tremelloniana di un aumento degli sprechi nel settore pubblico.

Aspetti, entrambi, peraltro, che porteranno alla crisi della Prima Repubblica, alcuni decenni dopo e sui quali soffieranno sia gli opposti estremismi, che i poteri forti internazionali e un'opinione pubblica manipolata dal sistema mediatico. Portando, dunque, al crollo dei partiti democratici di governo e alla fine dell'Italia per come l'avevamo conosciuta.

L'ultimo atto politico di Tremelloni fu la partecipazione al convegno milanese del PSDI “Una politica contro l'inflazione: per lo sviluppo nella stabilità”, del 1973 (degli atti di tale convegno, che conservo nella mia biblioteca, parlerò in un successivo articolo, fra qualche tempo).

Dopo di allora, come ricorda l'ottimo Granata, Tremelloni si allontanò dalla vita pubblica. Continuò a vivere una vita molto frugale (cibandosi, come sempre, di riso in bianco, una mela e acqua naturale) e a vivere un'esistenza molto ritirata, fra i suoi libri, i suoi studi, la compagnia della moglie Emma e della figlia Laura.

Molto lo aveva deluso la politica del tempo, che aveva accantonato una personalità di altissimo livello, che aveva dato molto al Paese e veniva ripagato con l'oblio e l'isolamento. Specialmente da coloro i quali avrebbero dovuto tenerlo in palmo di mano.

Come, del resto, accadde nel Risorgimento all'Eroe dei due Mondi Giuseppe Garibaldi (che si ritirò a Caprera, molto deluso, dimettendosi da deputato) e anche al grande leader e partigiano Repubblicano Randolfo Pacciardi, altro importante Ministro degli Anni d'oro dell'Italia del dopoguerra e che da tempo denunciava la degenerazione della partitocrazia italiana, sempre meno al servizio alla comunità. Ma che il PRI dell'epoca mise in un canto.

Dei migliori, del resto, pensiamo al Ministro socialista della Sanità, Luigi Mariotti, che fece chiudere i manicomi e si adoperò molto per il welfare, era meglio scordarsi, per lasciare spazio alla “mafia dei professionisti di partito”, come la chiamò lo stesso Tremelloni.

Se vogliamo comprendere le ragioni del disastro politico di oggi, italiano, Europeo e Occidentale, della totale irresponsabilità e perdita di qualità del personale politico degli ultimi trent'anni, non possiamo non ragionare guardando al nostro passato.

E non possiamo non onorare non solo la memoria di leader politici come Roberto Tremelloni, ma anche apprenderne gli insegnamenti, i percorsi, la lungimiranza e intelligenza.

Sono fra coloro i quali, pur socialista fin da ragazzino, non credono assolutamente a una rinascita del socialismo in Italia e Europa (e sicuramente non considero socialisti i partitini che si dicono, oggi, tali). E ne ho spiegato le ragioni, più e più volte. Molte di queste le ravvisò già Tremelloni. Molte di queste le ravvisò comunque anche Bettino Craxi, il cui PSI (l'ultimo dei partiti socialisti italiani, esistito fino al 1992) raccolse gran parte dell'eredità socialista democratica, ormai allo sbando.

Ciò che è possibile e necessario fare è studiare, approfondire, ricercare, agire in modo retto, austero, senza pregiudizi, senza tornaconti personali. Elevare ed elevarsi oltre una massa e una politica resa incolta e arida.

“Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, di Mattia Granata, scritto benissimo e altrettanto ottimamente documentato, è, in questo senso, un saggio preziosissimo.

Un documento raro, fondamentale, non solo per gli storici, ma anche e soprattutto per le nuove generazioni, siano esse formate da economisti, studiosi, militanti politici, socialisti democratici (se ancora ne esistono, specie fuori da partiti ormai senza alcun valore e fuori da elezioni ormai totalmente inutili), giovani, meno giovani e quanti vorranno recuperare il pensiero e l'azione di un grande uomo quale fu Roberto Tremelloni.

Luca Bagatin

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Al via, a Pechino, il Vertice Mondiale delle Donne. Articolo di Luca Bagatin

 

Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, il 13 ottobre, ha presenziato alla cerimonia di apertura del Vertice Mondiale delle Donne, tenutosi a Pechino, presso il China National Convention Center.

Egli, ricordando come già trent'anni fa, a Pechino, nel precedente vertice, fu fissato l'obiettivo di “agire per promuovere uguaglianza, sviluppo e pace”, ha avanzato quattro nuove proposte, in merito, ovvero contribuire a creare un ambiente favorevole alla crescita e allo sviluppo delle donne; generare una forte spinta per uno sviluppo dell'universo femminile; delineare una governance per tutelare diritti e interessi delle donne e scrivere un nuovo capitolo della cooperazione mondiale in tale ambito.

Il Presidente Xi ha anche sottolineato che, nella Repubblica Popolare Cinese, le donne costituiscono oltre il 40% della forza lavoro totale. Nel settore del web, più della metà degli imprenditori sono donne e il 60% dei vincitori di medaglie nelle ultime quattro olimpiadi sono di sesso femminile.

La Presidente della Nuova Banca di Sviluppo dei Paesi BRICS, nonché ex Presidente del Brasile, Dilma Rousseff, riferendosi a tale vertice mondiale, ha sottolineato, fra le altre cose, che “Emancipare le donne è fondamentale per costruire un futuro giusto, sostenibile e pacifico”. Aggiungendo che “Lo spirito di Pechino ci chiama non a commemorare, ma ad agire con l'urgenza che l'uguaglianza di genere richiede” ed ha sottolineato che “Non dobbiamo solo finanziare la crescita, ma anche plasmare il tipo di sviluppo che perseguiamo: che sia inclusivo, sostenibile ed equo”.

Luca Bagatin

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domenica 12 ottobre 2025

HO VISTO TE. Poesia di Luca Bagatin

HO VISTO TE 

Poesia di Luca Bagatin

Musa nella foto: Vasilisa Semiletova 

Ti ho vista scalza sul marmo sacro 

Ti ho vista al tramonto 

Con un bicchiere in mano, colmo. 

Ti ho vista assorta 

E ho sentito il mio cuore battere 

Quando ho avvertito il tuo profumo 

Che sa di mirto e disobbedienza

 Di bosco selvatico e verità. 

Ho indugiato. 

Ho riflettuto. 

Ho capito che il desiderio 

Non è un peccato. 

Talvolta è una preghiera 

Che non osa inginocchiarsi 

Ma rimane sospesa 

Come un'emozione 

Che tale vuole rimanere. 

Profonda e per sempre. 

Luca Bagatin

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venerdì 10 ottobre 2025

Un Nobel per la Pace a chi sostiene i golpe contro il socialismo. Articolo di Luca Bagatin

 

Il Nobel per la Pace lo diedero anche a Kissinger. Nel 1973.

L'anno nel quale, anche “grazie” a lui, gli USA sostennero, in Cile, il sanguinoso golpe militare di matrice liberal capitalista guidato da Pinochet. Contro il legittimo governo socialista di Salvador Allende.

Bella roba, vero?

A Gandhi invece niente. Mai, nemmeno una medaglietta. Eh... troppo pacifico... troppo nemico dei colonialisti britannici, si vede!

E a Obama? Altro Nobel. A colui il quale farà bombardare la Libia laica e socialista di Gheddafi.

Adesso a chi lo danno?

Al Presidente socialista della Colombia, Gustavo Petro, impegnato a parlare di giustizia sociale, pace e contro il regime bombardatore di Nethanyau? Macché, gli USA gli hanno persino tolto il visto!

A Roger Waters? Altro campione di lotta per i diritti umani e promozione della giustizia sociale nel mondo? Macché! Altro “comunistone”, per gli “amici” a Stelle e Strisce.

E quindi? A chi viene dato?

Alla venezuelana Maria Corina Machado (sic!).

Una che, nel 2002, sostenne il golpe contro il governo eletto, socialista e democratico, di Hugo Chavez. Golpe fortunatamente respinto dalla gran parte della popolazione venezuelana.

Una amica degli USA, impegnata contro i legittimi governi socialisti del Venezuela da decenni.

Una che sostiene la destra liberal capitalista peggiore e più estrema, come quella dell'argentino Javier Milei e del partito di estrema destra spagnolo Vox.

Una che sostiene le privatizzazioni selvagge del patrimonio pubblico del suo Paese. In primis l'industria petrolifera. Privatizzazioni che favorirebbero chi? Le multinazionali USA in primis, ovviamente.

Quegli USA che minacciano da sempre di invadere militarmente il Venezuela (e che da diverso tempo schierano navi da guerra al largo delle coste caraibiche, violando il diritto internazionale). E nel frattempo lo sanzionano.

Perché?

Perché è socialista. Perché il socialismo, in Venezuela, vince le elezioni (comprese le recenti Amministrative) fin dagli Anni '90, grazie al fatto che le risorse pubbliche sono tornate nelle mani dei cittadini venezuelani.

Perché, laddove governa il socialismo, arriverà sempre qualche estremista e fondamentalista liberal capitalista, meglio se sostenuto dagli USA, a volerlo distruggere.

Vi ricorda niente?

Vi ricordano niente i già citati golpe contro Allende e Gheddafi? E quello più recente contro il laico socialista Assad (per rimpiazzarlo con gli islamisti, sic!)? E nel passato? Ne citiamo alcuni.

Contro l'argentino Juan Domingo Peron; contro i governi socialdemocratici del Guatemala; l'ingiusta clava giudiziaria contro il leader socialista brasiliano Lula (tornato fortunatamente saldamente al governo); quella recente contro l'ex Presidentessa peronista Cristina Kirchner e... la falsa rivoluzione di “Mani Pulite” contro Bettino Craxi e i partiti socialisti e democratici della Prima Repubblica Italiana! Che avevano garantito stabilità, welfare, multilateralismo in politica estera.

Ma guarda un po'.

Siamo sempre lì.

Ogni falsa rivoluzione, del resto, necessita dei suoi Capopopolo che siano osannati dai grandi media di riferimento. Ad uso e consumo del sistema consumista. Ad uso e consumo degli esportatori di (pseudo) “democrazia”, ovvero di bombardamenti contro Paesi sovrani (la Jugoslavia... vi ricorda niente? E l'Iraq?). Ovvero di destabilizzazioni di governi legittimi, laici e socialisti.

Fatti passare dai media per governi di “ladri”, “corrotti”, “dittatori”.

Per depredare quei Paesi delle loro risorse e metterci, al governo, fantocci liberal capitalisti di riferimento.

In merito a tutto ciò, fra l'altro, consiglio vivamente la lettura del libro “Parigi-Hammamet”, di Bettino Craxi (qui la mia recensione in merito: https://amoreeliberta.blogspot.com/2020/02/parigi-hammamet-il-thriller-inedito-di.html).

La storia è sempre la stessa. E la conosciamo. Solo che, il Re, è da tempo molto più che nudo.

Il mondo, nel frattempo, ad ogni modo e fortunatamente, è anche sempre più cambiato.

Negli USA governano degli anziani, peraltro sempre meno competenti. Che siano Biden o Trump. E la loro economia è un disastro.

L'UE non ha alcuna leadership seria e si appoggia ancora a degli USA rimasti fermi a una sciocca e controproducente mentalità da Guerra Fredda. E a un'economia fondata su sciocchi e controproducenti protezionismi in stile ottocentesco.

Il resto del mondo, in particolare il Sud del mondo, nel frattempo, rialza la testa. E' stanco di prendere ordini dai bianchi colonialisti di Washington, Bruxelles, Parigi o Bonn e dai loro “amichetti”.

E' il multilateralismo, bellezza. E' il riscatto dei popoli oppressi. E' il nuovo Sol dell'Avvenire.

E le bugie, le falsificazioni, le invettive contro il socialismo ormai, stanno a zero.

Luca Bagatin

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giovedì 9 ottobre 2025

Nasce la rivista di geopolitica “BRICS & Friends”, per dare voce al Sud del mondo. Articolo di Luca Bagatin

 

E' uscito ufficialmente il numero 0 della nuova rivista di geopolitica, attualità e cultura, “BRICS & Friends”.

La rivista, edita dalla Mario Pascale Editore, che è anche il direttore editoriale, diretta da Riccardo de Paola e con una redazione composta, oltre che dal sottoscritto, anche dalla studiosa di America Latina e del mondo arabo Maddalena Celano e dalla scrittrice e ingegnere Patrizia Boi, si propone di collegare l'Italia all'universo BRICS e dare voce ai Paesi del Sud del mondo.

La linea editoriale di “BRICS & Friends” è, inequivocabilmente, multipolarista, volta all'autodeterminazione dei popoli, all'anticolonialismo ed è votata alla libertà, alla giustizia sociale, alla pace, alla prosperità e al progresso dei popoli del pianeta.

Nel numero 0 sono trattati argomenti quali l'eredità di Dostoevskij; le battaglie della Presidentessa del Messico Claudia Sheinbaum; la competizione turca, egiziana e israeliana nel Mediterraneo; la guerra economico-politica contro il Venezuela socialista; il moderno riformismo del Partito Comunista Cinese (scritto dal sottoscritto); l'intervista all'Ambasciatore Bruno Scapini; l'etnopunk siberiano e altro ancora.

86 pagine dense di geopolitica, Storia, cultura, approfondimenti.

“BRICS & Friends” è indipendente e vivrà di abbonamenti e raccolta pubblicitaria.

L'abbonamento ordinario (sei numeri, più tutti i contenuti online), ammonta a 100 euro annuali.

Quello sostenitore a 200 euro annuali.

Chiunque volesse abbonarsi, può farlo attraverso un semplice bonifico bancario intestato a Mario Pascale, inserendo come causale “Abb. BRICS & Friends 2026 – Spedire a (inserire indirizzo di spadizione”, sull IBAN: IT78F0760103200001070435589.

Come recita lo slogan della rivista, parafrasando l'Eroe dei due Mondi, il socialista repubblicano Giuseppe Garibaldi: “Il multipolarismo è il Sol dell'Avvenire”!

Luca Bagatin

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martedì 7 ottobre 2025

Socialismo mazziniano. Articolo di Luca Bagatin

 

In pochi, ancora oggi, probabilmente a causa di certa fuorviante e faziosa storiografia clericale, fascista o marxista, sanno che il Padre del Risorgimento italiano, Giuseppe Mazzini, non è stato solo il teorico dell'Unità d'Italia, ma anche un profondo riformatore sociale.

Le teorie politico-economiche di Mazzini, infatti, come già ricordato dall'ottimo saggio di Nello Rosselli, “Mazzini e Bakunin” del 1927, sono all'origine del movimento operaio italiano.

E lo sono perché parlano innanzitutto agli operai italiani. Li invitano ad associarsi e a unire il capitale con il lavoro e a superare il liberal capitalismo borghese sfruttatore e ad opporsi a un marxismo ingannatore.

Come ricorda lo storico Silvio Berardi nel suo “Il socialismo mazziniano”, Mazzini, nel saggio “Condizioni e avvenire dell'Europa, del 1871, scrisse:

Il grande pensiero sociale che ferve oggi in Europa può così definirsi: abolizione del proletariato: emancipazione dei lavoratori dalla tirannide del capitale concentrato in un piccolo numero d'individui: riparto dei prodotti, o del valore che n'esce, a seconda del lavoro compito: educazione morale e intellettuale degli operai: associazione volontaria tra gli operai, sostituita pacificamente, progressivamente e quanto è possibile, al lavoro individuale salariato ad arbitrio del capitalista”.

E proprio l'ottimo saggio del prof. Berardi ci permette di conoscere e approfondire la corrente socialista mazziniana.

Corrente che traeva linfa dal pensiero sociale di Giuseppe Mazzini, che a pieno titolo sarà rappresentato nell'ambito della Prima Internazionale dei Lavoratori del 1864, e che sarà sviluppata e articolata da figure quali Arcangelo Ghisleri, Alfredo Bottai, Giulio Andrea Belloni, ma anche da Vittorio Parmentola, Giuseppe Chiosterghi, Oliviero Zuccarini e altri.

Figure che rappresenteranno quella sinistra del Partito Repubblicano Italiano, volutamente dimenticata dal PRI a partire dalla scomparsa di Belloni, nel 1957, ma ancor prima osteggiata, dagli esponenti di quella destra repubblicana, i quali finiranno per trasformare il PRI, da partito risorgimentale di estrema sinistra, a partito sempre più liberale e al servizio della DC.

“Il socialismo mazziniano”, edito da Sapienza Università Editrice, con il patrocinio del Centro Studi Gaetano Salvemini, è un testo raro, ottimamente scritto e documentato, che apre un'orizzonte a coloro i quali vorranno approfondire questa suggestiva corrente del socialismo italiano.

Saggio interessante fin dalla prefazione del prof. Gaetano Pecora, il quale ricorda l'idea socializzatrice di Mazzini, volta a superare il “giogo del salario”, per “mettere il capitale nelle mani di chi lavora”.

Un Mazzini che, dunque, considera i lavoratori del produttori e non degli sfruttati dal salario e che, dunque, dovrebbero emanciparsi, tanto dal padrone privato che dallo Stato.

Un Mazzini che, come ricorda il prof. Pecora, pone al primo posto l'educazione quale strumento per l'emancipazione e la libertà autentica. Un'educazione volta a superare l'egoismo umano, per approdare al senso del dovere nei confronti della comunità intera.

E così, come ci spiega fin dai primi capitoli Silvio Berardi, a sviluppare per primo il suo pensiero, fu il sindacalista rivoluzionario Alfredo Bottai (1874 – 1965).

Fu, infatti, Bottai a coniare il termine “socialismo mazziniano”, attraverso il suo omonimo saggio, “Socialismo mazziniano”, del 1908.

Saggio nel quale si ponevano al centro i concetti di associazionismo operaio, educazione morale e spirituale degli individui, responsabilizzazione degli stessi e emancipazione sociale.

L'obiettivo di Bottai era quello di cercare un'unità e una sinergia politica fra repubblicani, socialisti, radicali e anarchici, mettendo al primo posto la questione sociale.

Egli fu sincero amico dei sindacalisti rivoluzionari di ispirazione mazziniana Filippo Corridoni e Alceste De Ambris (celebre per aver redatto la dannunziana, libertaria, socialista mazziniana Carta del Carnaro) e diresse il giornale “La Gioventù Sindacalista”.

Egli peraltro protestò sempre, come ricordato da Berardi, contro l'appropriazione del pensiero mazziniano e corridoniano da parte del regime mussoliniano, il quale nei fatti lo stravolse e tradì ampiamente.

E lo fece nonostante fosse il nipote del Ministro fascista Giuseppe Bottai, del quale non condivise mai le idee.

In tutte le sue opere, Bottai, ribadì anche che il socialismo mazziniano nulla aveva a che spartire con il marxismo, in quanto quest'ultimo sopprimeva ogni forma di credenza spirituale, ogni forma di autorità e la proprietà individuale. Mentre i socialisti mazziniani, pur egualmente e radicalmente critici nei confronti del sistema capitalista fondato sul salario e del liberalismo in generale, si opponevano alla lotta di classe e fondavano la loro dottrina sul riconoscimento dei diritti di proprietà e sull'associazionismo operaio, oltre che sull'elevazione morale e spirituale degli individui e sulla fratellanza universale.

Bottai, rifacendosi a Mazzini, ricordava che non vi può essere alcuna libertà, né alcun benessere sociale senza una coscienza morale “ispirata all'idea del dovere, della solidarietà, di un alto concetto della vita”.

Silvio Berardi, nel suo saggio, ci ricorda peraltro che le istanze di Bottai trovarono parziale accoglimento anche al Congresso nazionale del Partito Repubblicano del 1914, tenutosi a Bologna.

Congresso che rivendicò la matrice socialista delle idee mazziniane.

Le idee socialiste mazziniane, nel corso degli Anni '20, trovarono, dunque, una loro diffusione e dimensione e fu così che, a rimanerne influenzato, fu Giulio Andrea Belloni (1902 – 1957), futuro giurista esperto in criminologia.

Nel 1923 Belloni divenne discepolo di Bottai, oltre che del Padre nobile del Repubblicanesimo italiano, Arcangelo Ghisleri (1855 – 1938), con il quale ebbe lunghi rapporti epistolari.

Ghisleri, peraltro, fu il fondatore della rivista “Cuore e Critica”, nel 1887, che diverrà poi “Critica Sociale”, ovvero la principale rivista del Socialismo italiano, a dimostrazione delle influenze repubblicane mazziniane risorgimentali nell'ambito tradizione socialista del nostro Paese.

Belloni, che divenne Segretario nazionale del PRI nel 1924, come scrive Berardi, considerava il mazzinianesimo una sorta di “via italiana al socialismo”.

Belloni e Bottai, con l'avvento del fascismo, militeranno entrambi nelle fila di Giustizia e Libertà, movimento liberalsocialista che ebbe fra i fondatori gli esuli Carlo e Nello Rosselli e, all'interno di GL, diffonderanno le idee socialiste mazziniane.

Nel 1945, Belloni, darà alle stampe il suo “Repubblica e socialismo”, nel solco degli insegnamenti di Mazzini, Ghisleri e Bottai, ma anche del rivoluzionario risorgimentale Carlo Pisacane (1818 – 1857), le cui idee univano il mazzinianesimo, il socialismo libertario e l'anarchismo di Proudhon.

La visione di Belloni si fondava sull'etica del lavoro, sulla lotta al parassitismo e sulla giustizia sociale.

In questo senso, egli, faceva propria l'idea di Gaetano Salvemini (1873 – 1957) di costituire una “terza forza” laico-risorgimentale-socialista (detta anche “concentrazione repubblicana-socialista”, secondo il saggio di Salvemini del 1944), in grado di contrapporsi tanto al bolscevismo del PCI, quanto al clericalismo della DC.

Un terzaforzismo antborghese, anticapitalista, ma inserito a pieno titolo nel solco riformista e dunque volto al dialogo con il PSI di Pietro Nenni (questi peraltro proveniva dalle fila repubblicane) e con il PSLI di Giuseppe Saragat, oltre che con quelle figure del primo Partito Radicale, quali Ernesto Rossi, che avevano una visione contigua e molto simile a quella dei socialisti mazziniani.

In questo senso, Giulio Andrea Belloni, sarà il capostipite della sinistra repubblicana all'interno del PRI. E, in un primo tempo, trovò persino l'appoggio dell'allora Segretario del PRI, Randolfo Pacciardi, anch'egli molto lontano dalle istanze liberali degli ex azionisti come Ugo La Malfa, ovvero dalla destra del partito.

Belloni, peraltro, si troverà molto in sintonia con Guido Bergamo (fratello di quel Mario Bergamo, ex Segretario del PRI, che già negli Anni '20 teorizzava un'unione fra repubblicani e socialisti) e fondatore del Partito Repubblicano Sociale Italiano e del giornale “La Riscossa”, di Treviso.

La sinistra repubblicana di Belloni fonderà la testata “L'Idea Repubblicana” e spesso entrò in contrasto con “La Voce Repubblicana” e con la destra del PRI, per nulla legata alla tradizione risorgimentale mazziniana, ma vicina al “New Deal” rooseveltiano.

Anche Bottai, sostenendo le idee di Belloni, ricordava sempre, sulle pagine de “L'Idea Repubblicana”, che la sinistra repubblicana non si contrapponeva frontalmente al marxismo e al comunismo, pur essendone avversaria. Bensì si contrapponeva a tutti coloro i quali erano nemici del lavoro. Essa si batteva per la scomparsa del “regime del salario” e avrebbe lottato accanto a tutti coloro i quali “combattono questa borghesia gretta, egoistica e supremamente stupida”.

Il dialogo con i socialisti di Nenni, ad ogni modo, fallirà, in quanto questi finiranno per unirsi al PCI nell'ambito del Fronte Democratico Popolare (così come fecero anche i repubblicani sociali di Guido Bergamo).

Silvio Berardi ribadisce, nel suo ottimo saggio, i concetti fondamentali del socialismo mazziniano, ovvero della sinistra repubblicana nel PRI: abolizione del salario; abolizione del proletariato; abolizione della borghesia, del capitalismo e della delinquenza plutocratica; democrazia diretta e cooperativismo operaio, in modo che i lavoratori potessero essere i beneficiari diretti degli utili dell'impresa. E fine della collaborazione governativa con la DC. A livello internazionale, poi, avrebbe voluto lavorare per un'Europa unita e emancipata rispetto a quelli che considerava i due imperialismi, USA e URSS, che rappresentavano entrambi modelli che avrebbero negato libertà e emancipazione sociale.

Un programma avanzato e moderno, ma dalle radici antiche. Purtroppo avversato all'interno del PRI e poco compreso dalle altre forze di sinistra italiane, in particolare da un PCI che le avrebbe volute egemonizzare.

Nel corso degli Anni '50, come spiega l'ottimo Berardi, i socialisti mazziniani finiranno per essere sempre più marginalizzati, all'interno del PRI.

Alcuni, come Oliviero Zuccarini (1883 – 1971), fonderanno l'Unione di Rinascita Repubblicana e, nel 1953, contribuiranno, assieme ad alcuni esponenti di Giustizia e Libertà e fuoriusciti socialdemocratici, a costituire il movimento Unità Popolare.

Belloni rimarrà nel PRI, per spirito unitario. 

Morirà prematuramente nel 1957 e così anche la corrente di sinistra repubblicana non gli sopravvisse, perché i suoi amici e discepoli non ebbero la forza di lottare all'interno di un PRI che ormai aveva preso una piega totalmente liberale e opposta agli ideali originari.

Un vero peccato, perché il socialismo mazziniano è oggettivamente una forma di socialismo puro, non materialista, pragmatico, umanitario, spirituale, che, se in Italia non ha avuto successo, per molti versi ha trionfato in vari Paesi dell'America Latina odierna, probabilmente anche grazie alla diffusione di quegli ideali operata già dagli esuli risorgimentali, quali Giuseppe Garibaldi.

Ideali che hanno saputo fondersi con l'indigenismo, con la spiritualità teosofica e massonica e con un marxismo meno ideologico rispetto a quello europeo.

Il saggio di Silvio Berardi è un faro che illumina le menti di chi, come il sottoscritto, a questi ideali, sin da ragazzo, si ispira e diffonde (con le stesse identiche difficoltà incontrate da Bottai e Belloni), sia di coloro i quali non hanno mai avuto la possibilità di conoscere questa storia, che è Storia d'Italia e d'Europa e che forse è l'unica storia davvero democratica, sociale e civile del nostro Paese e dell'Europa intera.

Luca Bagatin

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lunedì 6 ottobre 2025

Repubblica Ceca: sconfitto il centrodestra di Fiala, vincono gli euroscettici moderati di Babiš. Discreta affermazione della sinistra patriottica, che purtroppo non entra in Parlamento. Articolo di Luca Bagatin

In Repubblica Ceca, alle elezioni parlamentari del 3 e 4 ottobre scorsi, battuta d'arresto per la coalizione di centrodestra SPOLU e il governo uscente di Peter Fiala, che, dal 27,8% è passata al 23,4%.

Grande vittoria, invece, per gli euroscettici moderati di Andrej Babiš del partito ANO 2011 (improprio definirli “di destra”, perché al loro interno contengono anche elementi di centro-sinistra e di critica al liberalismo economico), che in passato hanno governato con il Partito Socialdemocratico Ceco (CSSD), ricevendo anche l'appoggio esterno del Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSCM), che sono passati dal 27,1% al 34,5% e che dovranno formare il nuovo governo.

I primi a non entrare in Parlamento, invece, a causa di una assurda e non troppo democratica legge elettorale che prevede lo sbarramento (un po' come in Italia e non solo...sic!) i socialdemocratici, i nazionalisti di sinistra e i comunisti patriottici del KSCM, uniti nella coalizione Stačilo!, guidata dalla comunista Katerina Konecna, che ottengono il 4,3%.

Da considerare anche che, l'estate scorsa, il governo di Fiala, voleva mettere al bando il comunismo in Repubblica Ceca ed ha fatto di tutto per ostacolare tale coalizione, fondata sui principi di giustizia sociale, sovranità nazionale, libertà di parola, aumento dei fondi per istruzione e assistenza sanitaria pubbliche, euroscetticismo, pace e multilateralismo e il KSCM aveva così denunciato tale aspetto: “Il governo di Petr Fiala è stato finora responsabile dell’introduzione della censura, del divieto di pagine web e della persecuzione degli oppositori politici, della loro criminalizzazione e del licenziamento per motivi politici.
Il Partito Comunista di Boemia e Moravia respinge fermamente tale emendamento al Codice Penale. Lo ritiene deliberato e discriminatorio. I ripetuti tentativi di vietare il KSCM, che sono stati respinti dall’opinione pubblica in passato, miravano a soddisfare i loro elettori e intimidire chiunque criticasse l’attuale regime.
Il KSCM non sarà messo a tacere, così come i valori che i comunisti difendono: cooperazione internazionale, solidarietà, progresso e pace”.

Katerina Konecna, nel ringraziare i suoi elettori, su Facebook ha scritto: “Cari amici, prima di tutto, vorrei ringraziarvi di cuore. È stata una bella corsa, ma purtroppo ci siamo fermati poco prima del traguardo. Ringrazio tutti gli oltre 240.000 elettori. Un grande ringraziamento va anche agli oltre 300 candidati del movimento Stačilo!
Hanno affrontato insulti, aggressioni fisiche, bullismo, campagne mediatiche e tribunali. Sono riusciti a rallentarci, ma non a fermarci! La nostra voce continuerà a essere ascoltata nel Parlamento europeo, nelle regioni e l'anno prossimo ci saranno le elezioni comunali!
Non rinuncerò mai alla lotta per la Repubblica Ceca e i suoi cittadini! Nessuno ci fermerà!”.

Luca Bagatin

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sabato 4 ottobre 2025

Aprire la mente e il cuore. Andare oltre la banalità e il dogma. Ricercare sempre. Riflessioni di Luca Bagatin

 

La semplificazione del pensiero uccide il pensiero.

I media, che semplificano tutto, dalle azioni ai pensieri, hanno, di fatto, ucciso il pensiero (libertà di stampa o licenza di uccidere la complessità?).

Le tecnologie legate all' IA pretendono di superare il pensiero umano. Ce la faranno.

Sono progettate, consapevolmente o meno, per uccidere il pensiero.

E la stessa cosa fanno le ideologie e le religioni. 

Le verità rivelate e non interiori uccidono il pensiero. 

Il pensiero è ricerca. Meglio se essa è rivolta all'interiorità. Nulla che sia esteriore può davvero raggiungere autentici livelli di creatività e consapevolezza.

(Luca Bagatin)

In generale tendo a credere al dialogo e al confronto.

Vedo che, in generale, soprattutto di questi tempi, è pressoché impossibile o molto difficile.

Una delle cose più difficili da fare è invitare le persone ad aprire la propria mente e andare oltre le banalità, l'ovvio e i luoghi comuni.

Faccio una fatica intredibile, spesso, a fare ciò, al punto che, per scelta, frequento da anni pochissime persone e, alla piazza, all'agòrà, preferisco la lettura. E il cibo.

La tifoseria, per me, è come la religione. Una puttanata pazzesca.

Un modo che hanno le persone per costituirsi delle certezze.

Personalmente ho sempre amato le domande. Di rado trovo interessanti le risposte.

Perché la domanda stimola il cervello a ragionare. La risposta tende a fossilizzarlo.

Religione, dogma, ideologia, risposte dell'Intelligenza Artificiale, non riusciranno mai ad attirare la mia attenzione, ma mi trasmetteranno, sempre, profonda repulsione.

Amo la ricerca incessante. Non una scatola piena zeppa di bugie che la mente si costruisce, alimentandosi di banalità, ipocrisie, dogmi, che generano divisione e non portano ad alcuna comprensione.

(Luca Bagatin)

venerdì 3 ottobre 2025

La Repubblica Popolare Cinese celebra il suo 76esimo anniversario e rilancia la sua economia e la proposta di un ordine multilaterale equo e giusto. Articolo di Luca Bagatin

Il 1 ottobre scorso, è stato celebrato, in Cina, il 76esimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese, costruita con fatica dalle lotte di Chen Duxiu, Zhou Enlai, Chen Yun, Mao Tse-Tung, Deng Xiaoping e molti altri esponenti del Partito Comunista Cinese che, attraverso le battaglie socialiste e democratiche per l'emancipazione contro l'oligarchia dei Signori della Guerra, delle potenze coloniali occidentali e dei Nazionalisti di Chiang Kai-shek, ha saputo costruire una grande democrazia sociale e popolare, oggi divenuta pressoché quasi la prima potenza del mondo.

La Repubblica Popolare Cinese, oggi guidata dal Presidente Xi Jinping, degno erede della tradizione socialista riformista di Deng Xiaoping, Jiang Zemin e Hu Jintao, sta per formulare il suo 15esimo Piano Quinquennale (2026-2030), che punta a raggiungere una piena modernizzazione socialista.

In occasione delle celebrazioni della nascita della Repubblica Popolare Cinese, il Presidente Xi ha affermato che “Dall'orlo del pericolo nazionale al cammino di grande rinnovamento, la nazione cinese ha continuato ad avanzare attraverso difficoltà e lotte, ma anche con grande entusiasmo e trionfi clamorosi”.

I risultati ottenuti dai Piani Quinquennali precedenti sono stati notevoli, se pensiamo che fra il 2021 e il 2025, i consumi hanno contribuito per circa il 60% alla crescita economica annuale del Paese; le vendite dal dettaglio sono in crescita di circa l'80% rispetto agli USA; il mercato al dettaglio online è stato il più grande al mondo per dodici anni consecutivi e le vendite d'auto sono state in cima alle classifiche mondiali per ben sedici anni consecutivi.

Grandi investimenti, peraltro, sono stati effettuati nell'ambito dell'industria verde e della transizione ecologica, oltre che nel settore dell'intelligenza artificiale.

Il Presidente Xi, nel sottolineare la necessità di implementare la filosofia incentrata sull'innovazione, l'apertura, la condivisione dei benefici e lo sviluppo di nuove forze produttive, ha invitato a creare “un sistema di governance globale più giusto e equo”, in un momento storico nel quale il mondo è percorso da turbolenze e guerre d'ogni genere.

Ovvero di continuare a sostenere un vero multilateralismo, collaborando con tutte le nazioni al fine di “costruire una comunità con un futuro condiviso per l'umanità”. Frase che, ormai, è il leitmotiv della leadership socialista riformista del Presidente Xi Jinping, che punta alla stabilità e alla pacificazione globale.

La Repubblica Popolare Cinese, in sede ONU, peraltro, lo scorso 18 settembre, aveva denunciato gli USA per aver abusato del loro potere di veto nell'ambito del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, al fine di bloccare la richiesta di un cessate il fuoco per porre fine alle gravi condizioni nelle quali si trova la popolazione di Gaza.

In merito a tale situazione, attraverso l'Ambasciatore presso l'ONU, Fu Cong, la RPC ha ribadito la necessità di un cessate il fuoco duraturo; ha denunciato la militarizzazione del meccanismo di distribuzione degli aiuti umanitari e gli attacchi contro i civili perpetrati dal regime di Nethanyau e ha sottolineato l'urgenza di lavorare per una soluzione a due Stati, rispettando la volontà popolare del popolo palestinese e secondo il quale i palestinesi possano governare la Palestina.

Luca Bagatin

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giovedì 2 ottobre 2025

Ottobre 1993. Il criminale golpe di Eltsin, che pose definitivamente fine al socialismo in Russia e gettò le basi dell'attuale caos nell'Est europeo. Articolo di Luca Bagatin

 

Nell'ottobre dell'Anno Orribile 1993, mentre in Italia imperversava quella che Bettino Craxi definì, giustamente, “falsa rivoluzione di Tangentopoli”, che – annientando sotto la mannaia politico-mediatico-giusiziaria i partiti di governo democratici, ovvero la DC, il PSI, il PSDI, il PRI e il PLI - metteva fine a 50 anni di democrazia nel Paese, nella Russia neo-eltsiniana, accadeva più o meno la stessa cosa. Anche se in modo più violento e cruento.

Erano il 3 e 4 ottobre 1993, quando i commandos russi, su ordine di Boris Eltsin, bombardarono il Parlamento, ovvero il Congresso dei Deputati del Popolo.

Fu il culmine di quel golpe bianco liberale, che attentò al cuore della democrazia russa, ovvero della Repubblica Socialista Federativa Russa (RSFR).

Quasi 2.500 le vittime.

Il tutto nacque con la crisi costituzionale del 21 settembre 1993, nel momento in cui Eltsin, Presidente della RSFR, decise di sciogliere il Congresso dei Deputati del Popolo e il suo Soviet Supremo, accusando i deputati di essere “troppo comunisti”.

Un atto totalmente incostituzionale, autoritario, golpista, ma fatto passare dai media occidentali come un atto di grande democrazia, così come ogni nefandezza di Eltsin. Ovvero il piano di svendita del patrimonio statale sovietico e la sua conseguente spartizione fra oligarchi e criminali.

Il Parlamento russo si oppose a tale piano definito, vergognosamente, “riformista”.

Il Vicepresidente Aleksandr Ruckoj – che si pose a difesa del Parlamento - denunciò il programma liberale di Eltsin definendolo una forma di “genocidio economico”, anche in quanto impoverì drammaticamente e drasticamente la popolazione.

Il Parlamento – dopo la richiesta di scioglimento - si affrettò dunque a sostituire Eltsin con Ruckoj, ma il Presidente rispose, dal 3 al 4 ottobre, inviando le forze speciali e i carri armati, bombardando la sede della democrazia sovietica, con i deputati chiusi all'interno.

Durissimi gli scontri, anche di piazza, fra le forze speciali e cittadini scesi a difendere – con tanto di bandiere rosse con la falce e martello e ritratti di Lenin in mano, ma anche con bandiere zariste - la legittimità del Parlamento e ciò che rimaneva delle conquiste socialiste e sovietiche.

Conquiste sostenute pensino dai monarchici neo zaristi, che combatterono assieme ai loro ex nemici, ovvero i comunisti, per difendere ciò che rimaneva della democrazia russa.

Nonostante la resistenza popolare eroica, le forze di Eltsin accerchiarono la Casa Bianca, sede del Parlamento, che fu conquistata.

Il resto è Storia che conosciamo.

Gli oppositori al golpe liberale eltsiniano si riunirono nel Fronte Patriottico o Fronte di Salvezza Nazionale, composto da numerosi neonati partiti comunisti, fra cui i comunisti guidati da Gennady Zjuganov; quelli guidati da Viktor Anpilov (che quest'anno avrebbe compiuto 80 anni e che nel 1992 fondò il partito comunista “Russia Laburista” e molto amico di Limonov) e dai nazionalbolscevichi dello scrittore Eduard Limonov, il quale partecipò attivamente alla difesa del Parlamento, mentre sua moglie di allora, la cantante e poetessa Natalya Medvedeva, lanciò un appello contro il golpe – pubblicato anche dalla stampa francese dell'epoca – e sottoscritto da numerosi artisti e intellettuali russi.

Nonostante ciò, l'oligarchia liberal-capitalista ebbe la meglio.

In Russia il comunismo – che dal 1917 aveva emancipato il popolo - fu, se non bandito, considerato alla stregua del fascismo. E continuarono le svendite di Stato e lo smembramento delle Repubbliche ex sovietiche, ormai preda di oligarchi, affaristi, mafiosi e neonazisti. Una svendita ancora per nulla terminata con il passaggio delle consegne da Eltsin a Putin, che ha proseguito nello smantellamento del sistema sociale e economico sovietico.

Ancora oggi, la gran parte dei cittadini russi, non ha dimenticato. E, molti dei famigliari delle vittime di allora, oltre che molti cittadini, sfilano ancora oggi con cartelli recanti le foto dei propri cari, amici, parenti e conoscenti morti negli scontri.

Nel 1993 venne pubblicato, in Italia, dall'editore Roberto Napoleone, un interessante saggio dal titolo “L'enigma Gorbaciov”, di Egor Ligaciov, di cui ho parlato qui: https://amoreeliberta.blogspot.com/2023/02/egor-ligaciov-il-riformista-leninista.html

Ligaciov, esponente riformista del PCUS e successivamente anima riformista e moderata dell'opposizione guidata dal Partito Comunista della Federazione Russa, spiegò molto bene la tensione di quegli anni e le ragioni che portarono a tale tensione, che ancora oggi si trascina ad Est, con guerre fratricide, che sembrano drammaticamente non avere fine. Vedi il conflitto russo-ucraino, alimentato dalle solite oligarchie liberal-capitaliste occidentali, dai loro media e dai politicanti di riferimento, che soffiano sul fuoco.

Molto interessanti questi passaggi di Ligaciov: “Il vero dramma della perestrojka consiste nel fatto che i suoi leader, invece di usare la normale arma della critica contro i cosiddetti conservatori, fecero loro la guerra e, impegnati in questo, non videro invece – o non vollero vedere – il vero, grande, principale pericolo che gradualmente aumentava: il nazionalismo e il separatismo”.

E molto interessanti le conclusioni di Ligaciov, in merito alla necessità di recuperare l'idea socialista democratica, peraltro distrutta, alla metà degli Anni '90, sia in Italia (con la distruzione del PSI di Bettino Craxi e del PSDI di Pietro Longo, leader purtroppo dimenticato e al quale ho dedicato diversi articoli), che nel resto d'Europa (dopo la scomparsa di Mitterrand e dei grandi leader socialisti europei degli Anni '70 e '80): “Sono convinto che il socialismo sia una delle vie che conducono al progresso universale. Come intendo io il socialismo? Una società in cui si dà priorità all'uomo e alla democrazia. La base economica del socialismo è la proprietà sociale dei mezzi di produzione, ma in forme differenziate: l'uomo vi diventa comproprietario, e vi convivono pianificazione e libero mercato.

La base politica di questo regime sono i Soviet a tutti i livelli e uno Stato di diritto. Sul piano morale è una società in cui nei valori socialisti trovano posto sublimandosi i valori individuali; sul piano sociale è un regime di giustizia sociale, privo di oppressioni e ingiustizie, una società in cui non esiste la disoccupazione e in cui a ciascuno viene garantito il diritto al lavoro”.

Luca Bagatin

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