Era il 20 ottobre 2011, quando Mu'Ammar Gheddafi fu barbaramente ucciso e il suo cadavere fu esposto al pubblico ludibrio, da parte di quei ribelli che inneggiavano a sedicenti “primavere” arabe, ovvero a golpe ai danni del socialismo, sostenute dalla NATO, dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dagli USA in primis.
Oggi lo sappiamo, visto che dopo la morte di Gheddafi la Libia è finita in una spirale senza fine di instabilità e continui conflitti.
Gheddafi, per la Libia, per il mondo arabo laico, per il Terzo Mondo e per l'Africa intera, fu e rimane, ad ogni modo, un simbolo di riscatto e emancipazione.
Mu'Ammar Gheddafi, nato in una poverissima famiglia di beduini, fu un rivoluzionario incruento che, nel 1969 – a soli ventisette anni – rovesciò il regime monarchico di Re Idris I al-Senussi.
Egli rovesciò quel regime corrotto senza alcun spargimento di sangue, solo con la forza della ragione, del carisma nel convincere le masse incolte, povere e sfruttate. E alle masse restituì il potere e la sovranità, in accordo con i principi del Socialismo Arabo enunciati da Gamal Abd el-Nasser, Presidente dell'Egitto negli Anni '50 e primi '60. Un socialismo – quello di Nasser e Gheddafi - alternativo rispetto al comunismo marxista ateo e materialista ed al capitalismo sfruttatore. Un socialismo che ricercava l'autogestione dei mezzi di produzione e l'inclusione delle masse nell'attività di governo, al posto dei partiti e dei parlamenti.
Un socialismo adatto ai Paesi non allineati e del Terzo Mondo, ma assolutamente esportabile in ogni Paese che volesse e voglia includere il popolo nelle decisioni politiche, in ogni Paese che abbia compreso che democrazia significa “forza di popolo” e non “forza di una parte del popolo”, ovvero delle oligarchie partitocratiche, delle sette, delle ideologie totalitarie o dei sistemi economici fondati sullo sfruttamento del lavoro salariato.
Di questo il Presidente Gheddafi parla diffusamente nel suo saggio fondamentale, ovvero il “Libro Verde”, nel quale enuncia i principi della sua rivoluzione sociale e teorizza la Jamahiriyya, ovvero il governo delle masse. Una forma di democrazia diretta da attuarsi attraverso appositi comitati popolari spontanei e aperti a tutti.
E nel suo saggio fondamentale, propone un sistema di autogestione delle imprese, ove il lavoratore non è più un salariato, ma proprietario dell'impresa medesima, richiamandosi, per molti versi, non già al marxismo bensì al pensiero mazziniano ove capitale e lavoro risiedono nelle stesse mani.
Un pensiero, quello di Gheddafi, a tratti forse un po' utopistico, come egli stesso rivelò allo storico Angelo Del Boca, affermando di essere rimasto un po' deluso nel non essere stato totalmente compreso dal suo popolo, il quale talvolta ha abusato del “potere delle masse” per diventare corrotto, indolende e consumista.
Ma, ad ogni modo, la Libia di Gheddafi, per quanto non tutti i principi del “Libro Verde” si siano potuti concretizzare, rimase un modello di emancipazione sociale, civile ed economica, sino alla sua distruzione, nel 2011.
Quella di Gheddafi fu battezzata “Rivoluzione Verde”, in quanto il verde, nella cultura islamica, è il colore della conoscenza e dei santi. Il verde ricorda peraltro Al-Khidr, l'Uomo Verde protettore delle tribù nomadi, che incarna la provvidenza divina.
E proprio in una tribù di nomadi beduini è nato Mu'Ammar Gheddafi, il quale tentò di portare, in Libia, quei principi di democrazia popolare e anarchica derivanti sia da Rousseau che da Proudhon.
Egli fu, in sostanza, l'esatto opposto del “dittatore” che i media occidentali vollero rappresentare.
Grazie alla sua rivoluzione socialista araba, riuscì a liberare il Paese non solo della monarchia corrotta, ma anche e soprattutto dell'imperialismo statunitense e inglese, rilanciando il panarabismo ed il panafricanismo, ovvero ricercando l'unità – in pieno spirito di fratellanza - dei popoli arabi e africani. Tentativi, purtroppo, tutti falliti, ma che ricordano molto i tentativi del Presidente del Venezuela Hugo Chavez – ottimo amico di Gheddafi – di ricercare un'unità dei Paesi Latinoamericani e, nel passato, i tentativi del Presidente dell'Argentina Juan Domingo Peron, di ricercare l'unità dei Paesi non allineati e non asserviti né all'URSS, né agli USA.
Gheddafi fu peraltro anche fra i pochi ad arginare il fondamentalismo islamico, ricordando che l'Islam è fondamentalmente una religione di pace, che guarda all'emancipazione dei popoli.
Solo i governi dell'unico vero Centro-Sinistra che l'Italia abbia mai conosciuto, ovvero i governi Craxi e Andreotti dialogheranno con questo leader africano e così farà - opportunisticamente e per un breve lasso di tempo -Berlusconi che purtuttavia – con il sostegno di quello che è oggi il PD - tradirà Gheddafi ben presto e sosterrà anch'egli la guerra contro la Libia a fianco delle potenze imperialiste e neo-colonialiste.
Oggi Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia, Germania e i Paesi UE in generale, piangono per l'avvento di un'immigrazione incontrollata da loro peraltro causata, attraverso la destabilizzazione di Paesi sovrani, dalla Libia alla Siria, oggi in mano a Daesh, ovvero quell'Isis terrorista di cui sentiamo tanto parlare, per decenni peraltro indirettamente sostenuti dagli amici degli Stati Uniti d'America, come raccontato anche dall'ex generale Wesley Clark, in funzione anti-sciita.
E oggi la Libia piange sé stessa, ormai terra di nessuno.
Quale simbolo del socialismo arabo libico rimane Saif-al-Islam Gheddafi, secondogenito di Mu'Ammar. Il quale avrebbe dovuto candidarsi alle elezioni presidenziali, se solo si fossero potute tenere.
In Libia, ancora oggi, molti sostengono la sua candidatura e la sua figura simbolica. Il socialismo arabo, laico e anti-islamista, non è ancora morto.
Luca Bagatin
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