Pier Paolo Pasolini, profeta contro il capitalismo assoluto e la società de consumi.
Articolo di Luca Bagatin del 30 agosto 2018 (contenuto anche nel suo saggio "Amore e Libertà - Manifesto per la Civiltà dell'Amore)
Pier Paolo Pasolini fu un
intellettuale marxista contro la modernità, i cui insegnamenti e le
cui previsioni oggi, a distanza di ben 43 anni dalla sua morte
violenta, sono più che mai attuali.
La sua denuncia
dell'avvento del capitalismo assoluto; del consumismo; di una
sinistra e di una classe intellettuale tanto progressista quanto
liberal-capitalista, che si disinteressa degli sfruttati e difende
piuttosto gli sfruttatori; della perdita della sacralità dei
sentimenti in nome del "laicismo consumistico", sono oggi,
drammaticamente, il pane quitidiano di una Italia e di una Europa
senza più prospettive sociali, ovvero senza più prospettive
socialiste.
Ecco che le parole del Pasolini che scriveva su "Le Vie Nuove"
del 18 ottobre 1962, ci presentano la sua idea di recupero della
tradizione, che è una tradizione marxista e rivoluzionaria, ma, in
quanto tradizione, profondamente anti-moderna, e, come tale, critica
nei confronti dei tradizionalisti e dei borghesi:
"E' un'idea
sbagliata - dovuta come sempre alla mistificazione giornalistica -
quella che io sia un...'modernista'. Anche i miei più seri
sperimentalismi non prescindono mai da un determinante amore per la
grande tradizione italiana e europea. Bisogna strappare ai
tradizionalisti il Monopolio della tradizione, non le pare ? Solo la
rivoluzione può salvare la tradizione: solo i marxisti amano il
passato: i borghesi non amano nulla, le loro affermazioni retoriche
di amore per il passato sono semplicemente ciniche e sacrileghe:
comunque, nel migliore dei casi, tale amore è decorativo, o
'monumentale', come diceva Schopenhauer, non certo storicistico, cioè
reale e capace di nuova storia".
Ed ecco come Pasolini qui parli già del concetto di amore, che
esplica ancor meglio nel numero de "Le Vie Nuove" del
successivo 22 novembre 1962, ove peraltro spiega il connubio fra i
concetti di "tradizione" e di "marxismo":
"Tradizione e marxismo. Sì, insisto: solo il marxismo salva
la tradizione. Oh, ma capiscimi bene ! Per tradizione intendo la
grande tradizione: la storia degli stili. Per amare questa tradizione
occorre un grande amore per la vita. La borghesia non ama la vita: la
possiede. E ciò implica cinismo, volgarità, mancanza reale di
rispetto per una tradizione intesa come tradizione di privilegio e
come blasone. Il marxismo, nel fatto stesso di essere critico e
rivoluzionario, implica amore per la vita, e, con questo, la
revisione rigenerante, energica, amorosa della storia dell'uomo, del
suo passato".
Pasolini è dunque un
intellettuale marxista antimoderno dall'impostazione romantica e
sentimentale e lo si comprenderà ancor meglio nel 1976, con le sue
"Lettere luterane", scritte dalle colonne del "Corriere
della Sera" e de "Il Mondo", ove egli critica il
progresso, che considera un falso progresso; il conformismo; il
consumismo e l'avvento della televisione. In particolare una frase
contenuta nelle sue "Lettere" è, a parer mio,
particolarmente significativa: "Nell'insegnamento che ti
impartirò io ti sospingerò a tutte le sconsacrazioni possibili,
alla mancanza di ogni rispetto per ogni sentimento istitutivo.
Tuttavia il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a
non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo
consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi
automi adoratori di feticci".
Il
fulcro dell'insegnamento pasoliniano - anticlericale sì, ma non
antispirituale - è dunque la ricerca del Sacro e del Sentimento,
oltre la fredda ragione, oltre quel "laicismo consumistico"
che ha trasformato gli esseri umani in adoratori della materia, del
danaro, del consumo.
E se
andiamo a rileggere il testo dell'intervento che Pier Paolo Pasolini
avrebbe dovuto tenere al Congresso del Partito Radicale del 4
novembre 1975 (testo che fu letto postumo, in quanto Pasolini fu
barbaramente ucciso due giorni prima), scorgiamo delle frasi di una
profondità e lungimiranza politico-economica sbalorditiva. Oltre a
fare l'elogio delle persone che Pasolini definisce "adorabili",
ovvero quelle che non sanno di avere dei diritti, nel "Paragrafo
Quinto" il Nostro - fra le altre cose - scrive: "I
bisogni indotti dal vecchio capitalismo erano in fondo molto simili
ai bisogni primari. I bisogni invece che il nuovo capitalismo può
indurre sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali. Ecco
perché, attraverso essi, il nuovo capitalismo non si limiterebbe a
cambiare storicamente un tipo d'uomo: ma l'umanità stessa. Va
aggiunto che il consumismo può creare dei "rapporti sociali"
immodificabili, sia creando, nel caso peggiore, al posto del vecchio
clerico-fascismo un nuovo tecno-fascismo (che potrebbe comunque
realizzarsi solo a patto di chiamarsi anti-fascismo); sia, com'è
ormai più probabile, creando come contesto alla propria ideologia
edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di
falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili. In ambedue i casi lo
spazio per una reale alterità rivoluzionaria verrebbe ristretto
all'utopia o al ricordo: riducendo quindi la funzione dei partiti
marxisti ad una funzione socialdemocratica, sia pure, dal punto di
vista storico, completamente nuova".
E
qui, in queste poche righe, sembra di leggere la profezia di un
Pasolini che sembra anticipare il mutamento in senso
liberal-capitalista (o "socialdemocratico", come lo
definisce Pasolini) dei partiti un tempo marxisti e socialisti
europei: dagli eredi del PCI, oggi PD, finanche sino al PS francese e
al PSOE spagnolo e non solo, ormai partiti in difesa del capitalismo
assoluto e spesso più di destra della destra liberale (si pensi
anche ai recenti elogi della sinistra al Senatore USA della destra
guerrafondaia John McCain).
Ecco
che al "Paragrafo Sesto" del discorso che non potè tenere,
Pasolini, rivolgendosi a Pannella e Spadaccia, scrive: "Dunque,
bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e
subalterne di cultura".
E nel
"Paragrafo Settimo", parlando dei diritti civili,
dell'aborto e del divorzio, il Nostro, scrive fra l'altro: "(...) A
proposito delle difesa generica dell'alterità, a proposito del
divorzio, a proposito dell'aborto, avete ottenuto dei grandi
successi. Ciò - e voi lo sapete benissmo - costituisce un grande
pericolo. Per voi - e voi sapete benissimo come reagire - ma anche
per tutto il paese che invece, specialmente ai livelli culturali che
dovrebbero essere più alti, reagisce regolarmente male (...)".
E
prosegue nel "Paragrafo Ottavo, con frasi di una attualità
incredibili: "(...) Io vi prospetto - in un momento di giusta
euforia delle sinistre - quello che per me è il maggiore e peggiore
pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo
futuro. Una nuova "trahison del clercs": una nuova
accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto
compiuto; un nuovo regime sia pure ancora soltanto come nuova cultura
e nuova qualità di vita.
Vi richiamo a quanto
dicevo alla fine del paragrafo quinto: il consumismo può rendere
immodificabili i nuovi rapporti sociali espressi dal nuovo modo di
produzione "creando come contesto alla propria ideologia
edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di
falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili".
Ora, la massa degli
intellettuali che ha mutuato da voi, attraverso una marxistizzazione
pragmatica di estremisti, la lotta per i diritti civili rendendola
così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra,
altro non fa che il gioco del potere: tanto più un intellettuale
progressista è fanaticamente convinto della bontà del proprio
contributo alla realizzazione dei diritti civili, tanto più, in
sostanza, egli accetta la funzione socialdemocratica che il potere
gli impone abrogando, attraverso la realizzazione falsificata e
totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità. Dunque tale
potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti
come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile
potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera".
E' il
Pasolini in dialogo con Pannella, ma anche critico nei confronti dei
radicali che, se allora sembravano difendere i diritti di chi non
sapeva di avere diritti, via via diventeranno partito del capitalismo
assoluto, senza aver compreso o avendo del tutto dimenticato la
lezione pasoliniana che poneva al centro la contrapposizione fra lo
sfruttato e lo sfruttatore e, il Nostro, prenderà sempre le difese
dello sfruttato e lo farà, forse fra i pochi intellettuali marxisti
finanche del suo tempo - assieme al filosofo comunista francese
Michel Clouscard - denunciando l'avvento di quel "nuovo
fascismo" che nei fatti sarebbe stato il consumismo, l'edonismo,
il materialismo borghese, il capitalismo assoluto.
In tal senso Pasolini nel 1963 disse:
"Noi ci troviamo alle
origini di quella che sarà probabilmente la più brutta epoca della
storia dell'uomo: l'epoca dell'alienazione industriale. Lei ne è già
una vittima, in quanto il suo giudizio non è libero proprio
nell'atto in cui crede di meglio attuare la propria libertà; io sono
un'altra vittima in quanto la mia libera espressione viene fatta
passare per 'altra da quella che essa è'. Il mondo si incammina per
una strada orribile: il neocapitalismo illuminato e
socialdemocratico, in realtà più duro e feroce che mai.".
Le
parole di Pier Paolo Pasolini - queste e molte altre - poeta,
intellettuale anticonformista, regista, narratore e cantore delle
periferie, degli sconciati, dei diseredati, della civiltà
dell'innocenza e di quella contadina, sono ancora oggi le uniche che
ci guidano, illiminandoci, nella fitta nebbia del finto progresso,
della finta libertà, del Capitale.
Pier
Paolo non è mai morto. Perché Pier Paolo parla ancora al nostro
cuore.
Luca
Bagatin
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