Il 20 ottobre, in
Bolivia, il socialista Evo Morales – forte dei suoi successi in
campo sociale, economico e politico (drastica riduzione della
povertà, dell'analfabetismo, forte aumento del PIL) - aveva vinto
per un terzo mandato, le elezioni presidenziali, con il 47% dei
consensi. Una cifra che, per la legge elettorale boliviana, avendo
battuto il suo avversario di oltre 10 punti percentuali, gli ha
garantito la rielezione, senza passare per il ballottaggio.
Ad ogni modo,
l'opposizione di centro e di centrosinistra, guidata da Carlos Mesa,
ovvero lo sconfitto delle presidenziali con il 35,%% dei consensi, ha
sin da subito tentato di fomentare la piazza contro il Presidente
eletto.
Nel corso dei giorni si è
addirittura arrivati ad una escalation di violenza, con poliziotti
ammutinati e gruppi paramilitari guidati dall'opposizione, con il
concorso di gruppi razzisti e di estrema destra, pronti a organizzare
un golpe per defenestrare Morales. Gruppi che hanno occupato le sedi
della tv statale “Bolivia Television”, della radio statale “Radio
Patria Nueva” e quella della Confederazione del sindacato dei
contadini , catturando e intimidendone i giornalisti, oltre che dando
alle fiamme le case di due governatori socialisti e della sorella del
Presidente Morales.
Anche qui, come in
Venezuela, il copione è il medesimo: destra, centro e centrosinistra
uniti – in forme antidemocratiche - contro il socialismo che ha
vinto le elezioni e, in tutti questi anni, ha garantito pace sociale
e prosperità civile.
Uno scenario che ricorda,
peraltro, il colpo di Stato in Cile contro il Presidente socialista
Allende, guidato dal dittatore Pinochet nel 1973 e sostenuto dagli
Stati Uniti d'America e dagli economisti liberali della “Scuola di
Chicago”.
Anche in questo caso, la
cacciata di Morales, farebbe comodo agli USA, i quali vorrebbero –
come in Venezuela e nel resto dell'America Latina – che a comandare
ritornassero le multinazionali statunitensi e i ricchi oligarchi
liberal capitalisti.
Una situazione allarmante
e pericolosa per la democrazia boliviana, di cui i grandi media
parlano poco o nulla, ma segnalata con forza dal Papa dei cattolici
Bergoglio, il quale, ha immediatamente esortato a un clima di pace.
Pace richiesta immediatamente dal Presidente Evo Morales, il quale,
nonostante sia risultato il vincitore, ha annunciato nuove elezioni e
il rinnovo dei componenti del Supremo Tribunale elettorale.
Il Presidente Morales ha
così richiesto la cessazione di ogni forma di violenza e il rispetto
delle famiglie, delle proprietà, delle autorità e di ogni settore
sociale. "Tutto ciò che abbiamo in
Bolivia è l'eredità del popolo boliviano, possiamo farci del male,
quindi chiedo a tutti di garantire una convivenza pacifica, di
garantire la fine violenza per il bene di tutti ",
ha dichiarato Morales, il quale, costretto dai golpisti a lasciare il
Paese, ha ricevuto – nei giorni scorsi - asilo politico in Messico,
grazie all'invito del presidente socialista Andres Manuel Lopez
Obrador. “Voglio dare il benvenuto a
Evo Morales e alla sua delegazione in Messico. E’ un giorno di
allegria perché l’asilo che si offre a Morales è effettivo e in
Messico sarà protetto”, ha
dichiarato il Ministro degli Esteri messicano Marcelo Ebrard.
Evo
Morales, ringraziando il Presidente Obrador, ha altresì dichiarato
che continuerà la sua lotta per il ritorno in patria e per
rivendicare la sua vittoria elettorale, contro gli usurpatori.
Morales ha peraltro fatto riferimento all'autoproclamatosi Presidente
della Bolivia, ovvero alla deputata liberale Jeanine Anez Chavez, la
quale, oltre a rappresentare l'oligarchia ricca e il fondamentalismo
evangelico, ha espresso – nei “social” – giudizi razzisti nei
confronti della comunità indigena boliviana.
"Si
è consumato il golpe più subdolo e disastroso che la storia
ricordi. Un senatore di destra si è autoproclamato Presidente del
Senato e poi Presidente ad interim della Bolivia senza un quorum
legislativo, circondato da un gruppo di complici e guidato da settori
della polizia e delle forze armate che reprimono il popolo con la
violenza", ha dichiarato Evo
Morales, facendo presente che la Anez Chavez si è autoproclamata
Presidente in un Parlamento nei quale la maggioranza assoluta dei
deputati, ovvero quelli del Movimento al Socialismo, si è rifiutata
di partecipare al voto in aula per la sua proclamazione, di fatto,
disconoscendola.
Appoggio
al Presidente eletto Evo Morales è giunto immediatamente dai governi
di Venezuela, Nicaragua, Uruguay, Argentina, Cina, Russia, e Siria,
mentre gli USA meditano di utilizzare tale colpo di Stato per tornare
nuovamente a destabilizzare i legittimi governi socialisti di
Venezuela e Nicaragua.
Il
Presidente socialista del Venezuela, Nicolas Maduro, ha dichiarato a
proposito della volontà di Trump di rovesciare i governi socialisti
dell'America Latina: "Volete lo
scontro ? Andremo a questo scontro per la pace, la Patria, la
sovranità e per la rivoluzione bolivariana del Venezuela". Ed
ha aggiunto: "La vittoria ci appartiene e lo dimostreremo nelle
strade con la nostra unione civico-militare".
Sostegno
a Evo Morales anche dal cantautore britannico Roger Waters,
cofondatore dei Pink Floyd, il quale – attraverso un video pubblico
- gli ha espresso solidarietà politica e umana e totale contrarietà
al golpe liberale in corso.
Il
socialismo latinoamericano non soccomberà, nemmeno questa volta.
L'amore del
socialismo e della democrazia popolare prevarrà anche questa volta,
sull'odio dei più ricchi, dei razzisti, dei sostenitori della
violenza e dell'autoritarismo liberal capitalista.
Luca Bagatin
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