Sembra sia arrivato quel momento della
Storia nel quale qualsiasi cosa si sia desiderata e immaginata sia
possibile, realizzabile, ottenibile. Tanto una Sony o una
multinazionale qualsiasi la realizzerà. Sì, ma a che prezzo ? Ad un
prezzo al di sopra dei nostri mezzi. A prezzo di un lavoro
inesistente o precario o sottopagato; al prezzo di una concorrenza
straniera sempre più pressante; a prezzo di una sanità e di una
anzianità sempre meno tutelate. A prezzo, insomma, di aspetti che le
cosiddette leggi dell'economia non contemplano, perché contrarie
alle stesse.
Questa la tesi di fondo de “Il vicolo
cieco dell'economia” di Jean-Claude Michéa, filosofo orwelliano,
pubblicato dall'ottima casa editrice Elèuthera.
Tesi che ci dicono, fra l'altro, che
questa società di matrice capitalista, ovvero liberal-progressista,
ci ha inculcato le sue “leggi di mercato” in anni e decenni di
lavaggio del cervello attraverso sia la pubblicità commerciale (che
crea bisogni inutili e indotti), che attraverso programmi scolastici
volti a farci supinamente accettare un'ineluttabile
globalizzazionee e una modernità
tecnologica totalmente illusoria.
Le radici della
società capitalista, Michéa le fa dunque risalire all'Illuminismo,
allorquando i filosofi individuarono nel meccanismo dell'interesse
egoistico ogni forma di rapporto umano, ovvero nel razionalismo e
nell'utilitarismo le basi sulle quali si sarebbe dovuta fondare una
società moderna.
Fra i massimi
esponenti di tale corrente, il filosofo ed economista Adam Smith, le
cui tesi sono tutt'oggi fondamento dell'economia capitalista e di
mercato e che obbligano l'individuo ad essere flessibile, ovvero a
cambiare continuamente abitudini, lavoro e luogo di residenza (il
famoso fenomeno del cosmopolitismo e dell'immigrazionismo) e dunque
ad adattarsi ad ogni ordine impartito dalle leggi dell'economia,
della concorrenza e del mercato.
L'individuo, lungi
dall'essere veramente libero, si trasforma dunque in un atomo che si
trova nelle condizioni di non poter ricercare e creare legami stabili
(nemmeno sentimentali) con i suoi consimili, al punto che ogni
impegno nei confronti degli altri diventa una sorta di ostacolo al
perseguimento dei propri interessi e della propria ricchezza
materiale.
Michéa
rileva, in tutto questo, come la società capitalista e modernista
obblighi altresì l'individuo a rimanere giovane per
l'eternità. Costretto ad adattarsi alle regole dell'economia e del
mercato, in una corsa senza fine, l'individuo non può permettersi di
invecchiare e di ammalarsi e la sua illusoria eterna giovinezza deve
a tutti i costi rappresentare un must di successo, esempio massimo
dell'edonismo progressista e della massima fede nel futuro. In tutto
ciò, come peraltro già accennato, l'individuo non sarà in grado di
impegnarsi in relazioni stabili e profonde - in particolare nella
sfera sentimentale - stabilendo così con gli altri suoi simili solo
relazioni fuggevoli.
Jean-Claude Michéa
fotografa, così, l'uomo moderno da diverse generazioni a questa
parte: le sue relazioni sentimentali fuggevoli; la sua assurda cura
del corpo ma non dell'intelletto e dello spirito; la sua mancanza di
amicizie nella vita reale, ovvero di finte amicizie: pressoché quasi
solo ed esclusivamente virtuali e internettiane.
Uomo moderno,
ovvero uomo schiavo della società capitalista, che Michéa dice
essere stata sdoganata, in Francia, dalla sinistra – figlia
dell'Illuminismo - che si contrapponeva al socialismo delle origini e
dunque alla feroce critica di Engels e di Proudhon al modernismo
illuminista con il suo individualismo devastante. L'operaismo ed il
popolarismo francese, più che marxista, era infatti proudhoniano ed
ha sempre proposto una forma di società formata da una comunità di
liberi ed eguali.
Jean-Claude
Michéa ritiene dunque che sia necessaria una vera e propria
rivoluzione culturale che
attinga all'insegnamento socialista, anarchico e populista (il
termine “populismo è stato connotato in senso spregiativo in
questo secolo proprio dai capitalisti al fine di contrapporsi ai
difensori del popolo) del XIXsecolo e dell'insegnamento di George
Orwell e che fondi una società basata sul dono, sull'aiuto reciproco
e sul senso civico. Ovvero una società che, su tali fondamenta,
superi il capitalismo ed il modernismo.
George
Orwell, come Michéa spiega ottimamente nel suo saggio, parla infatti
di common decency
quale aspetto fondante dello spirito del socialismo, ovvero la
capacità morale degli individui di impegnarsi reciprocamente. Una
virtù umana, in sostanza, contrapposta al calcolo egoista propugnato
dal liberalismo economico.
Jean-Claude Michéa,
nella sua analisi relativa al socialismo delle origini, non dimentica
di riconoscere gli autentici meriti della fondazione del socialismo e
del concetto di socialismo all'operaio tipografo francese Pierre
Leroux. Già aderente alla Carboneria, Leroux aderì al
saint-simonismo e successivamente, distaccatosene, elaborò la sua
teoria sul socialismo quale alternativa all'individualismo egoista ed
allo statalismo, proponendo una visione di società destinata
all'autogoverno.
La critica di
Michéa al capitalismo prosegue infine attraverso le sue prefazioni –
inserite quali appendice nel saggio “Il vicolo cieco dell'economia”
- ai saggi dello storico e studioso Christopher Lasch. Studioso
conservatore e socialista, Lasch, al pari di Michéa, si pone in
totale antitesi rispetto al capitalismo, al modernismo ed al
progressismo che hanno sostanzialmente messo in vendita ogni rapporto
sociale, umano e politico in nome dell'incultura del piacere, del
desiderio effimero e delle regole di un'economia che ha sempre di più
schiavizzato l'individuo e la società nella quale egli vive.
Luca Bagatin
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